Che cosa c’è di male ad essere omosessuali? Niente, o forse tanto, o anche quel tanto che basta per far sì che un omosessuale ne uccida un altro. Ma la mano che arma l’omosessuale/assassino proviene da lontano, e si espande, orizzontale – direbbero i sociologi – su tutta la società, quasi da far sembrare l’omicidio un rito di passaggio, o un atto dovuto, giustificato da quella parte di collettività che vive e prospera anche nell’odio e nel rancore di tipo razziale verso chi ha gusti sessuali quantificabili con la minoranza. Il Vaticano è sicuramente in prima linea nell’alimentare questa intolleranza, quasi furore, verso chi è nato, e pertanto vive, omosessuale, e spesso il Governo italiano, popolato di fascisti e prono ai voleri del papato, discrimina chi è omosessuale e non vuole garantire quei diritti che nel resto dell’Europa sono fatto comune, gestiti dai governi ma fatto acquisito e serenamente accettato da tutti i cittadini.
Nel bel libro di Buffoni, che trae spunto appunto da un omicidio di stampo omosessuale, troviamo tutti gli elementi per capire come l’omofobia sia radicata in molte persone e giunga a introiettarsi anche nel DNA di alcuni omosessuali, rendendoli paurosi e succubi, sino a diventare vittime silenziose di violenze ed assassinii. Quando invece una persona omosessuale prende piena coscienza di sé, e, vivendo liberamente la propria vita, decide di amare un'altra persona dello stesso sesso, non per un fatto meramente sessuale, ma per la forza affettiva e amorosa pura e semplice, così facendo si scosta dal cono d’ombra dell’omofobia e difficilmente sarà vittima di un altro caso di misterioso “omocidio” su cui la polizia non farà mai piena luce, etichettandolo semplicemente come “un altro omicidio nello squallido ambiente gay”.
La narrazione di “Zamel” è incentrata, principalmente, su uno scambio sia orale che epistolare tra due amici gay incontratisi in Tunisia, l’uno, Edo, felice della sua vita e studioso della cosiddetta cultura gay, fatta da autori di cui molti conoscono le opere ma ignorano la vita privata, che però spesso traspare dalle pagine dei loro libri, come il Gadda, Whitman (leggi il capitolo
WHITMAN), Pavese o Montale; l’altro, Aldo, invece vive permeato della sotto-cultura da retrobottega che vuole i gay come finte donne che devono stare nascoste ed accontentare di soppiatto i maschi, cosa che funziona benissimo in Tunisia, dove la visione ancestrale della divisione dei sessi chiude un occhio sui rapporti tra uomini, a patto che il tunisino si comporti da maschio, usando il turista bianco, come succedaneo della donna. Così Aldo, omosessuale, ma pregno dell’omofobia respirata a pieni polmoni in Italia, in famiglia e in società, si sente realizzato in un ambiente dove l’omosessualità viene vissuta come tabù, non se ne parla, nessuno è omosessuale, ma è assai facile portarsi chiunque a letto, proprio perché è una cosa che ufficialmente non esiste. Edo cerca di spiegare all’amico quanto sarebbe più giusta una società in cui non vi fossero disparità di trattamento in base all’orientamento sessuale, egli illustra come l’omofobia si respiri, vi si sia immersi e quanto sia perniciosa per la sana crescita morale ed intellettuale degli individui, omosessuali e non.
Edo, nelle sue e-mail ad Aldo, racconta del passato, in cui essere omosessuali era una malattia, sino alle rivolte del movimento gay, da Stonewall in poi, e appare subito evidente quanto l’Italia, in questa tematica, sia enormemente retrograda, grazie al Vaticano, al Governo e a tutta la programmazione televisiva che propone un modello “macho-velinocentrico”: “Il 28 giugno 1982 il comune di Bologna affidava in autogestione al circolo di cultura omosessuale 28 giugno (la data di Stonewall) il Cassero di Porta Saragozza. L’esperienza organizzativa gay più ampia, radicata e significativa che l’Italia abbia prodotto. Dal Cassero si propagò Arcigay nazionale. Come ha ricordato Beppe Ramina nel 2007 in occasione del venticinquesimo della fondazione: ‘Curia, Vaticano e le destre negano il valore delle nostre relazioni e delle nostre stesse esistenze, ma verso chi vorrebbe farci chinare la testa e farci tornare nel silenzio e nella vergogna il confronto è aperto. Siamo stufi di essere insultati dalle gerarchie ecclesiastiche e di essere presi in giro da istituzioni e partiti che non si assumono le responsabilità che derivano dall’operare in uno stato laico’”.
Lo scambio di e-mail si interrompe bruscamente, Aldo ha osato dire al suo amante che non lo desidera più perché omosessuale usando il termine zamel, che significa colui che predilige la passività, mentre Aldo, ha lui stesso necessità di rapporti in cui il suo proprio ruolo sia esclusivamente passivo; il giovane tunisino dovrà lavare l’onta col sangue, millenni di storia e di cultura omofoba glielo insegnano, e così facendo, forse, si illude di distruggere lo specchio di sé stesso, che gli riflette quell’immagine che lui, maschio e tunisino non può e non deve avere.
Un libro, quindi, socialmente utile, ben orchestrato anche dal punto di vista della costruzione narrativa; è attraversato da un’ironia spesso graffiante nei confronti di un sistema sociale iniquo e diseguale nei diritti; a tratti divertente e addirittura spiritoso nelle parti dei dialoghi tra Aldo e Edo, anche se i temi trattati, sia relativamente alle vicende personali di Aldo, che a quelle del movimento gay di lotta per la affermazione dei propri diritti affettivi, lasciano ben poco spazio alla retorica o alla risata, specialmente quando si legge di vite lasciate sul campo a pagare pegno per essere quello che sono. Si sa che perbenismo, bigottismo e ogni sorta di qualunquismo possono essere carburante per roghi inestinguibili e dannosi per l’intero sistema sociale: “Interessanti le discussioni per l’intitolazione a Mario Mieli del circolo di cultura omosessuale romano nel 1983. Come ricorda Vanni Piccolo, l’alternativa era Salvatore Pappalardo, un operaio 36enne siciliano che lavorava a Torino. Il 23 aprile 1982 era stato assassinato a Monte Caprino - come tu ben sai, uno dei luoghi classici allora e oggi di battuage a Roma. Aveva lasciato la valigia a stazione Termini, qualche ora di svago e sarebbe poi ripartito per la Sicilia. Prevalse il nome di Mieli per la consapevolezza politica, l’impegno a tutto campo. Ma non vanno dimenticate le vittime, gli oppressi: i Salvatore Pappalardo sono migliaia”.
La lettura di “Zamel” è snella, piacevole, la vicenda ha un finale, già annunciato nei capitoli iniziali, indesiderato, quasi assurdo, come può essere assurda la persecuzione – se non addirittura la morte – fondata sulla parola, una: zamel.
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Vedi l’anticipazione di “Zamel” proposta da larecherche.it >>)