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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Pape Satàn Aleppe, cronache di una società liquida

Argomento: Libri

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 06/09/2016 13:01:28

‘Pape Satàn Aleppe’ - Cronache di una società liquida
di Umberto Eco – La nave di Teseo 2016.

Fin dall’introduzione l’autore (tanto di cappello) avverte il lettore trattarsi della raccolta delle sue Bustine di Minerva apparse sull’Espresso fin dal 1985 e in altre precedenti raccolte (brevi) e che oggi, siamo nel 2015: “..non tanto per colpa mia quanto per colpa dei tempi, è sconnessa, va – come direbbero i francesi – dal gallo all’asino, e riflette la natura liquida di questi (ultimi) quindici anni”. Se è lui a dirlo dovremmo quantomeno credergli, e che invece nulla risulta di più concettualmente ordinata di questa. Figuriamoci se ‘il professore’ di “La vertigine della lista” (2013) avrebbe mai potuto mettere assieme qualcosa di sconclusionato che lo riguardasse in prima persona. Comunque crediamoci utilizzando quel suo senso autocritico che lo vedeva sempre insoddisfatto e compiaciuto di esserlo, fino a fermare la rotativa di stampa dei suoi libri per cambiare una frase o il finale di una storia solo perché non gli piaceva. Ma come sappiamo è questa una pratica solo dei ‘grandi’ e solo a loro giustamente concessa.

Un’altro avvertimento al lettore riguarda il titolo, ripreso dalla citazione dantesca (Inferno, VII,1) che messa così, fa pensare a una sorta di ‘vademecum satanico’ cui solo Eco sarebbe stato capace di redarre; ed anche la ragione, io credo, per cui molti lettori si astengano dallo sfogliare, per paura forse di esserne contaminati fino a perdersi nei labirinti della sua ragionevolezza (difficoltà di lingua, argomentazioni occulte ecc.) dei suoi precedenti libri. Tutt’altro, siamo qui di fronte a alle fusa di un gatto sornione fin troppo arguto e bizzarro nelle sue scelte e nei suoi lazzi che, nelle pur brevi pagine (minimal stories) delle sue ‘cartine’, riesce a introdursi nelle vene della società pulsante di vita, utilizzando una nota definizione del sociologo Zigmunt Bauman riferita alla ‘società liquida’, essere invero uno stilema della modernità che ci è data di vivere in questo terzo millennio.

“C’è un modo per sopravvivere alla liquidità? C’è, ed è rendersi appunto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti. Ma il guaio è che la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno. Bauman rimane per ora una ‘vox clamantis in deserto’.” L’insegnamento potrebbe sembrare non pertinente con la missione del professore ma certamente lo è in quanto Eco è stato un insegnante di vita la cui esperienza lo ha portato a discernere, nella completezza dello scibile universale, quella che ha dimostrato essere la sua erudizione a tutto tondo e non un semplice opinionista da strapazzo come quelli che spesso si gongolano sui canali televisivi, capaci di parlare a senso unico su questo o quell’argomento.

Ogni argomento toccato in questo libro (e sono davvero moltissimi) centra quasi con mira infallibile il problema o un dubbio contestabile pur esistente in noi esseri sociali offrendoci spesso un possibile sguardo risolutivo nei risvolti inclusivi dei diversi ‘capitoli’ che formano il corpus narrante. Per così dire ‘liquifacendoli’ dentro un linguaggio accessibilissimo a tutti, comprensivo di religione e filosofia, razzismo e odio, morte e miracoli, educazione e scuola, letteratura e poesia, stupidità e follia, politica e potere, cinema e musica, Web e telefonini, vecchiaia e ricambio generazionale, Europa e il resto del mondo, e non si ferma qui, tant’altro e tale è ogni volta l’incognita del suo spaziare che riesce a smuovere il pensiero del lettore, finanche in inezie da megalomane, di cui forse non si sarebbe mai preoccupato. Ma che invece investono tutti in ogni momento della giornata e della notte, in quanto riguardano la vita di tutti i giorni, le necessità e le esigenze di noi esseri sociali (ed anche di asociali) nel vivere comune.

Umberto Eco (come pochi altri) ha dato e può ancora darci lezioni (attraverso i suoi scritti) su quel che siamo noi italiani, su ciò che siamo capaci di inventare, di creare artisticamente parlando, anche di fare autocritica ma soltanto quando chi vuole insegnarci qualcosa ha le palle per farlo, allora tanto di cappello. Mi chiedo cosa avrebbe scritto Eco sulle ultime vignette apparse su Charlie Hebdo, lui che spesso citava il buon gusto dei cugini francesi? Ma forse ne avrebbe riso, valutandola una scivolata del bon ton che alla fin fine non può offenderci, perché tocca delle verità che egli stesso avrebbe condiviso. Magari individuando nelle ragioni di una simile caduta di stile, quelle che sono le pecche di una Nazione addormentata che sta ancora in piedi crogiolandosi sulla grandeur del Re Sole usando gli stecchini da tavola per tenere gli occhi aperti.

Davvero interessante la sua affermazione sullo stato della follia che imperversa questo primo ventennio del secolo: “Però mi pare abbia scritto una volta Saul Bellow che in un’epoca di pazzia credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia. Quindi non prendete per oro colato le cose che avete appena letto”, sembra voler concludere questo lungo escursus letterario che lo riguarda e ci riguarda, ma non è la fine, è ancora del 2015 la cartina “Gli imbecilli e la stampa irresponsabile” che, strano a dirsi, assume maggiore validità in questi nostri giorni se riferita alle vignette di Charlie: “Mi sono molto divertito con la storia degli imbecilli del Web. Per chi non l’ha seguita, è apparso on line e su alcuni giornali che nel corso di una cosiddetta lectio magistralis a Torino avrei detto che il Web è pieno di imbecilli. È falso. La lectio era su tutt’altro argomento, ma questo ci dice come tra giornalisti e Web le notizie circolino e si deformino”.

(Abbrevio)
“Ammettendo che su sette miliardi di abitanti del piante ci sia una dose inevitabile di imbecilli, moltissimi di costoro una volta comunicavano le loro farneticazioni agli intimi o agli amici del bar – e così le loro opinioni rimanevano limitate a una cerchia ristretta. Ora una consistente quantità di queste persone ha la possibilità di esprimere le proprie opinioni sui social network. Pertanto queste opinioni raggiungono udienze altissime, e si confondono con tante altre espresse da persone ragionevoli. (..) Nessuno è imbecille di professione (tranne eccezioni) ma una persona che è un ottimo droghiere, un ottimo chirurgo, un ottimo impiegato di banca può, su argomenti su cui non è competente, o su cui non ha ragionato abbastanza, dire delle stupidaggini. Anche perché le reazioni sul Web sono fatte a caldo, senza che si abbia avuto il tempo di riflettere. È giusto che la rete permetta di esprimersi anche a chi non dice cose sensate, però l’eccesso di sciocchezze intasa le linee.”

(Abbrevio)
“I giornali sono spesso succubi della rete, perché ne raccolgono notizie e talora leggende, dando quindi voce al loro maggiore concorrente – e facendolo sono sempre in ritardo su Internet. Dovrebbero invece dedicare almeno due pagine ogni giorno all’analisi di siti Web (così come si fanno recensioni di libri <che pochi leggono> o di film <che nessuno vede>, indicando quelli virtuosi e segnalando quelli che veicolano bufale o imprecisioni. Sarebbe un immenso servizio reso al pubblico e forse, anche un motivo per cui molti nevigatori in rete, che hanno iniziato a snobbare i giornali, tornino a scorrerli ogni giorno. (..) È un’impresa certamente costosa, ma sarebbe culturalmente preziosa, e segnerebbe l’inizio di una nuova funzione della stampa”.

Note di copertina:
«Crisi delle ideologie, crisi dei partiti, individualismo sfrenato…Questo è l’ambiente – ben noto – in cui ci muoviamo: una società liquida, dove non sempre è facile trovare una stella polare (anche se è facile trovare tante stelle e stellette). Di questa società troviamo qui i volti più familiari: le maschere della politica, le ossessioni mediatiche di visibilità che tutti (o quasi) sembriamo condividere, la vita simbiotica coi nostri telefonini, la mala educazione e naturalmente molto altro. È una società, la società liquida, in cui il non senso sembra talora prendere il sopravvento sulla razionalità, con irripetibili effetti comici certo, ma con conseguenze non propriamente rassicuranti. Confusione, sconnessione, profluvi di parole, spesso troppo tangenti ai luoghi comuni. “Pape Satàan, pape Satàn aleppe”, diceva Dante nell’Inferno, tra meraviglia, dolore, ira, minaccia, e forse ironia.»

E l’ironia ne è la chiave di lettura, quello che ci vuole per leggere fino in fondo questo libro corposo di tante pagine (469) e soprattutto di tante parole da rimpiazzare il nostro comune dizionario, per apprendere quanto esso è ricco di potenzialità espressive. Grazie maestro!


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