DOMANDA. Chi è Roberto Biagiotti?
RISPOSTA. Un uomo/ragazzo con un amore, una passione per la musica che non lo ha mai abbandonato.
DOMANDA. Se permetti sull’affermazione “uomo/ragazzo” torneremo più avanti. Rimaniamo sulla passione per la musica. Quando è nata?
RISPOSTA. .Fin piccolo ballavo sulle note dei dischi di Rock & Roll dei miei genitori. Un ricordo in particolare: la sigla di chiusura di una serie televisiva degli anni ’70, “ Starsky & Hutch”. Mi piaceva in modo speciale, soprattutto il suono della chitarra elettrica. Quel suono mi rimase in testa sino a che, a circa sedici/diciassette anni ho capito che volevo suonare.
DOMANDA. E cosa hai fatto?
RISPOSTA. Quello che facevano tutti i ragazzi: ho chiesto ad un amico più esperto di insegnarmi ad accordare la chitarra e, già dopo la prima “lezione”, mi ero così entusiasmato da riesumare una vecchia chitarra che avevamo in casa. I primi giri di accordi, poi, cominciai a cercare le note, le melodie. Incidevo le mie canzoncine grazie ad un vecchio registratore e le facevo ascoltare agli amici che, facile da immaginare, mi sfottevano. Ma questo non mi scoraggiava.
Verso i venti anni ho sentito che “andare a rubare il mestiere con gli occhi” nelle sale prove non mi bastava più. Avevo bisogno di basi più solide. Così mi iscrissi ad una scuola di musica per dare fondamenta teoriche alle capacità dell’autodidatta.
DOMANDA. E, dopo lo studio, cosa è cambiato?
RISPOSTA. È iniziata la stagione delle band. Gruppi che nascevano, cambiavano assetto, si scioglievano. Fondamentalmente, sperimentando, ci si divertiva. Qualche serata, suonate fra amici…
DOMANDA. Ad un certo momento il tuo nome si associa con quello di un gruppo: “Le Nuvole”. Tuttora è visitabile il sito di questa band e si possono scaricare dei tuoi brani piuttosto datati e i promo di alcuni più recenti. Che importanza hanno avuto “Le Nuvole” e come mai ne troviamo ancora traccia?
RISPOSTA. Ci sono state anche altre band. Le Nuvole sono state un gruppo che è esistito sino a tre anni fa. Nella sua continua evoluzione ha visto entrare ed uscire molti musicisti, alcuni di talento. Orlando Salvitti, il tastierista, ed io siamo stati gli unici “punti fermi”. Gli altri si alternavano, a volte lasciando qualcosa, a volte portandola via.
Di fatto le musiche ed i testi sono sempre stati, per un abbondante 90%, miei. Quindi, il progetto musicale, essendo un cantautore, era sempre molto mio. Non era facilissimo trasferire i propri obiettivi a chi non scrive musica ma la esegue. Coinvolgere tutti, rendere il gruppo coeso rispetto alle finalità di un sogno, una “visione” fondamentalmente individuale, era lo scoglio più arduo ed anche, il maggior limite che avvertivo.
Credo sia per questo che sono arrivato ad abbandonare l’idea di avere una band e ad immaginarmi e, poi, volermi come autore: dovevo assumere tutte le responsabilità della mia musica. Ho capito che di un mio progetto musicale volevo prendermi tutti gli oneri, giocarmi “il nome e la faccia”, poter scegliere i musicisti che avrebbero contribuito alla realizzazione del prodotto finale.
DOMANDA. Mi pare di capire dal tuo racconto che sei passato dall’essere un leader ad essere l’imprenditore di te stesso, se mi lasci passare questo termine più afferente il mondo economico che quello artistico.
RISPOSTA. Leader è una parola grossa, come lo è imprenditore. Non credo di avere le competenze di un imprenditore. Diciamo che oggi sono il manager di me stesso. Gestisco ogni aspetto della produzione artistica: la prima idea, il momento creativo, il progetto, l’analisi di fattibilità, le possibilità di marketing. Curo anche il supporto e la copertina: materiali, grafica. Sono io a scegliere se affidarmi ad un produttore od utilizzare altri canali di promozione e diffusione.
Non che questo non si possa fare con un gruppo. Si può, a patto che la compagine nasca da un’aggregazione spontanea e creativa intorno al progetto e che tutti contribuiscano in egual misura, a livello artistico, alla sua realizzazione.
Ma oggi vivo questo mio cammino da autore.
DOMANDA. Mi pare di ravvisare in ciò che affermi una “svolta epocale”. Da un atteggiamento quasi adolescenziale che affidava il rapporto con la tua arte all’occasione, all’incontro, allo “spirito” del momento ad un comportamento adulto, meno velleitario, più riflessivo. Come dire: un passaggio dall’improvvisazione alla progettazione, una sorta di approdo al professionismo.
Oggi hai, forse, trovato la maturità necessaria per spiccare il volo da solo, per realizzare qualcosa di più completo, concreto, duraturo nel tempo. Anche questo CD che uscirà a fine anno ne è la prova tangibile.
RISPOSTA. Credo che la tua sia un’interpretazione corretta anche se la parola “adulto” mi mette un po’ paura, specie se coniugata alla maturazione musicale ed artistica. Identifico la mia parte più creativa con l’adolescente che è in me e che spero non mi abbandoni mai. È anche vero che la presa di coscienza di non essere più un ragazzo di belle speranze che in virtù della propria giovinezza può incuriosire ed avvicinare mi ha fatto tirare fuori altre risorse. Ho meno tempo per giocare ma scelgo con maggiore decisione e serenità le strade da percorrere senza disperdermi in mille rivoli. La consapevolezza delle proprie possibilità e della necessità di agire in autonomia mi consentono di utilizzare tempo ed energie in modo mirato.
Malgrado tutto, però, mi sento ancora adolescente.
DOMANDA.Come è nato questo tuo nuovo progetto e, quindi, il CD “Stasera do una festa”?
RISPOSTA. Tutto è partito da un’idea: diventando adulti si dimentica, fatalmente, di essere stati bambini, adolescenti, ragazzi.
Ci si rivolge ad un adolescente come ad un essere misterioso, quasi “malato”, da correggere, aiutare e non ci si accorge (o, forse, neanche si immagina) che un quindicenne, a volte, paradossalmente, guarda all’adulto nello stesso modo: un individuo malato, stanco, frustrato, che non si sa godere la vita e non vuole che tu ti goda la tua. Gli si può dare torto?
“Stasera do una festa” è il dialogo fra Roberto/adolescente e Roberto/adulto, tra ragazzi/bambini e grandi, tra studente e professore e viceversa, con continui cambiamenti di fronte, attraversando le fasi della vita, dall’infanzia alla – udite, udite – maturità.
DOMANDA. L’ascolto dei pezzi che hai reso pubblici ci fa percepire una crescita professionale di non scarsa rilevanza: Siamo passati da singoli prodotti ad un’opera completa e musicalmente carica di umori ed influenze provenienti da cantautori italiani, dal migliore rock anglo/americano, dal sound latino americano. Una contaminazione riuscita, accattivante ma ben amalgamata. C’è in te la coscienza di questa evoluzione?
RISPOSTA. “Opera”, un’altra parola grossa. Non la userei dovendo descrivere questa produzione.
DOMANDA. Ancora il Roberto/adolescente che fa capolino. Cos’è mancanza di autostima, paura di affermare ad alta voce: “E sì, sto crescendo”?
Capisco dalle tue smorfie che su questo terreno proprio non ci vuoi scendere. Allora un altro tipo di domanda. Quando componi, nella tua mente cosa nasce prima: la musica o le parole? Cosa ti ispira maggiormente e quali sono i periodi più creativi?
RISPOSTA. Molto spesso, la musica risuona all’improvviso nella mia testa. Altre volte è una frase che mi colpisce, evoca sensazioni e mi spinge a scolpire suoni.
Quanto all’ispirazione il cielo stellato ed il mare sono elementi naturali che mi mettono in sintonia con la mia creatività ma anche i rumori, intesi come “composizione sonora”, il vissuto ed, in questo periodo, la ricerca della semplicità.
Quanto ai periodi più fecondi, purtroppo, ho scoperto che di solito coincidono con i momenti più difficili, magari segnati da grandi cambiamenti. Crisi, conflitti, persino rotture. Ma c’è sempre l’eccezione che conferma la regola: quest’estate l’ispirazione è arrivata in un momento in cui ritrovavo la pace in Corsica, un’isola che per me ha il sapore della natura e della vita.
DOMANDA. Componi di getto o rivedi più e più volte le tue canzoni?
RISPOSTA. Di getto: è una condizione essenziale. Mi piace l’irruenza delle “prime” parole, i tratti grezzi. Poi, rivedo tutto: aggiusto il sound delle parole, la potenza di una rima, cerco di ridurre drasticamente il manierismo che è sempre in agguato.
Il momento successivo è quello della decantazione: qualche giorno in stand by. Quando riprendo in mano la “prima bozza” può succedere che non mi piaccia più, che la senta banale o inutile. Più raramente, continua a convincermi e allora ci lavoro. Ci butto sopra delle parole senza senso ma che abbiano il suono giusto; un po’ come buttare argilla su argilla per fare massa e, poi, modellare, scolpire, piano piano.
DOMANDA. E come ti senti a “opera” finita?
RISPOSTA. Bene. È bello! È come osservare il dipinto della tua anima. Scopri un lato di te che non conoscevi profondamente, come avere una nuova identità da mostrare o, semplicemente, da raccontare. Un altro tassello di un mosaico di cui non conosci i confini.
DOMANDA Per chiudere, vuoi dire qualcosa ai lettori ed agli scrittori della recherche?
RISPOSTA. Seguo in modo piuttosto silenzioso la recherche ma ho anche avuto ocassione di scambio con alcuni autori/lettori. Mi piacerebbe che il sito divenisse un luogo d’incontro fra le diverse forme di arte, di scambio. Così mi offro volontario per cominciare: avrei molto piacere di potermi confrontare con quanti vogliano condividere con me questa esperienza.
GRAZIE.
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Per ascoltare alcuni brani del nuovo lavoro di Biagiotti, "Stasera dò una festa",
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(Intervista a cura di Maria Musik)