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‘TURNER’ un film di Mike Leigh

Argomento: Cinema

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 02/02/2015 14:08:29

‘TURNER’ un film di Mike Leigh

Conosciuto e apprezzato dai cultori della storia dell’arte Joseph Mallord William Turner (Londra, 23 aprile 1775 – Chelsea, 19 dicembre 1851) uno dei più famosi e apprezzati pittori del romanticismo inglese che oggi possiamo ammirare alla Tate Gallery e alla National Gallery di Londra era già a suo tempo pienamente riconosciuto come un artista di genio dagli artisti e dai critici d’arte suoi contemporanei: “colui che portò il movimento romantico verso la svolta decisiva e che riuscì a elevare l’arte della pittura paesaggistica ai livelli di quella storica, considerata al suo tempo di maggior rilievo”. Solo alcuni in verità gli riconoscono di aver posto le basi per la nascita dell’Impressionismo che si svilupperà in Francia con un’ampia fioritura di artisti nella seconda metà dell’Ottocento. Non a caso il celebre critico d'arte inglese John Ruskin parlò di lui come dell'artista che più di ogni altro era capace di "rappresentare gli umori della natura in modo emozionante e sincero". È infatti da questa identificazione ‘umorale’ dell’uomo Turner che prende spunto il regista Mike Leigh (già vincitore di un ‘Palmares’ come miglior regista per “Naked” nel 1992 e nel 1996 come miglior film con “Segreti e bugie”), e che ci permette di apprezzare al meglio la sua ‘riflessione cinematografica’ presentata con successo a Cannes 2014.
“Turner” il film si concentra sull’ultimo quarto di secolo della vita del grande pittore, senza tuttavia scandire il passaggio del tempo usando le tipiche didascalie con data in sovrimpressione, ma che lascia scorrere l’esistenza del personaggio, interpretato magistralmente da Timothy Spall, senza interromperne la narrazione. Sono i costumi e soprattutto il trucco entrambi eccellenti che aiuteranno a sottolineare la progressione degli eventi che si succedono dopo la scomparsa del padre dell’artista. Profondamente colpito dalla morte del suo vecchio, da tempo suo assistente ed ex barbiere, dopo aver viaggiato a lungo nel continente, Turner si lega a una vedova che gestisce una pensione sul mare, la signora Booth, ottimamente interpretata da Marion Bailey, ed è assillato da una sua ex amante, Sarah Danby (Ruth Sheen), da cui ha avuto due figlie illegittime di cui si ostina a negare l’esistenza. Un film dalla trama esile che però non stento a definire realizzato ‘per il piacere degli occhi’; infatti ai dialoghi ben si sostituiscono le immagini che ‘da sole’ parlano ricalcando il linguaggio della natura che ha sempre ‘suggestionato’ l’artista durante il lungo percorso della sua ricerca pittorica sulla luce.
Ragione per cui a Turner è stato accreditato l’appellativo di: “pittore della luce” e non poteva che essere così, in ragione del fatto che davanti ai suoi quadri si resta abbagliati da ciò che più incorporeo esiste in natura e che da sempre è riferito al colore. Quella luce che stravolge e destruttura ogni forma oggettiva e fisiologica, finanche la prospettiva nella concezione dell’arte e che, con Turner non sarà più la stessa, cioè dipendente dalla distribuzione dell’ombra e della luce (tridimensionale); bensì si avvarrà della Teoria di Goethe applicandone i concetti principali con la quale si cerca di creare (o ricreare) un collegamento tra l’occhio e le emozioni, a quella post-immagine che resta sulla retina dopo la visione dell’immagine stessa, di ciò che ha impressionato la nostra angolazione visiva. Ecco al dunque che le immagini trasportano chi le osserva (lo spettatore) nella visione effimera e sublime della grandezza in cui l’occhio s’immerge e in cui egli si sorprenderà in stato emozionale.
Secondo il concetto di Goethe soprattutto il giallo (luce solare), fu il primo colore trasmesso dalla luce, sottoposto ad una transizione della luce che si oscura nel momento in cui la luce raggiunge il suo massimo bagliore, così come il sole splende nel cielo, e tende al bianco che è senza colore. Turner infatti cerca di rispondere ai concetti che Goethe ha creato attraverso questa teoria rivolta per lo più ai colori rosso e il giallo, mirata ad evocare ottimismo e sentimenti positivi, mentre il colore blu (in Turner spesso molto diluito) fa più spesso da contrasto, come a voler creare (o ricreare) un'emozione di malinconia e desolazione. Ma la luce, pur nelle sue infinite variazioni e combinazioni di colori, diventa in Turner sempre più profonda e spesso egli trasforma il giallo in arancione e infine al rosso ma solo nel concentrarsi del colore in alcuni punti ‘focali’ dei suoi quadri dai quali si è sprigionata la sua visione emozionale. Il resto lo fa la luce secondo un processo transitorio che Turner ha ben evidenziato nelle sue tele, mostrando come fa l’occhio dell'osservatore spostandosi dal centro (focale), agli estremi più scuri (meno luminosi) della tela.
Il film ha anche altre qualità (per chi vuole vedercele), a cominciare da quelle storico-sociali che seppure appena abbozzate lasciano intravedere quali diversità esistessero all’interno della borghesia inglese dell’ottocento. A latere è notevole lo svolgersi del lavoro del pittore, dall’acquisto delle terre, alla preparazione dei colori, all’attrezzare le tele ecc. e, soprattutto, la grande e riconosciuta capacità di Turner nell’uso dei pennelli da cui si rileva il guizzo del genio. Nonché l’attitudine all’immediatezza, infatti le sue tele ad olio non sono costruite su un bozzetto o un disegno preliminare, bensì provengono da schizzi eseguiti su di un block-notes in piena libertà o eseguiti da precedenti acquerelli, una tecnica questa che richiede particolare attenzione nell’esecuzione. Un altro aspetto davvero rilevante del film è la ricreata atmosfera ottocentesca che si doveva respirare nelle sale della Royal Academy of Art, nelle sale della quale s’incontravano i grandi ‘artisti’ del momento e avvenivano gli scambi d’idee e delle tecniche pittoriche e non solo. Tutta l’aristocrazia e la borghesia imprenditoriale ruotava all’epoca attorno all’ Academy of Arts e per altro attorno alla Royal Geographic Society. Qui avvenivano gli acquisti per i grandi musei di tutta Europa e d’oltreoceano; qui si rivolgevano i collezionisti e i critici che avrebbero scritto la storia dell’arte.
Timothy Spall, il celebre Peter Minus nella saga di “Harry Potter”, trova in questo caso il giusto spazio come protagonista indiscusso della pellicola, non ha bisogno di una particolare presentazione, poiché in passato ha sempre recitato in parti assai caratterizzanti, del tipo ‘brutto, sporco e cattivo’, o comunque ‘bad’. Il ritratto della sessualità di Turner nel film è disarmante, non a caso anche in questa pellicola è un padre volgare e sprezzante (non c’è riscontro se il pittore fosse davvero così). Il rapporto con l’adorabile governante Hannah Danby (nipote della rancorosa ex amante di Turner e forse per questo considerata ‘maledetta’ dal pittore?) è il massimo del classismo e della prevaricazione maschile: “Turner quando è colto da tempeste ormonali simili ai cataclismi naturali da lui costantemente dipinti, abbranca Hannah e la possiede in modo disumano e frettoloso mentre lei dà a quegli amplessi un valore diverso (guardare la gamba destra di lei come si attorciglia voluttuosamente al corpo di lui)”.
Tuttavia, malgrado il regista abbia fatto una scelta ‘umorale’ della figura di Turner che appesantisce in certi momenti la pellicola, che scorre lenta al seguito dei passi del protagonista attraverso gli straordinari paesaggi della costa inglese del Kent fino alle bianche scogliere di Dover, Timothy Spall da prova di possedere straordinarie capacità d’attore che lo distingue. Lo ricordiamo in “Quadrophenia” (1979); “Oliver Twist” (1982); in “Segreti e Bugie” (1996) ancora di Mike Leigh; in “L’ultimo Samurai” (2003); in “Sweeny Todd” il diabolico barbiere di Fleet Street (2007); “Enchanted” (2007); in “Alice in Wonderland” (2010); e almeno in “Il discorso del Re” (2010). Per questo suo ultimo lavoro “Turner” (2014) ha già ricevuto il riconoscimento per ‘miglior attore’ allo scorso Festival di Cannes.


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