James M. Barrie “Margaret Ogilvy” – (prima traduzione italiana) – I Luoghi della Scrittura Edit. 2014
Suona strano come il ‘caso’, in alcuni momenti, rientri in quello che possiamo considerare il superfluo e renda possibile ciò che fino ad ora non avevamo ritenuto rientrasse nei nostri interessi particolari. Tuttavia c’è un nesso in questa affermazione che riguarda la scelta affatto casuale di un libro che ‘guarda caso’ segna un ritorno, come dire, una reminiscenza del passato. Tutto accade attorno a un personaggio dal nome sintomatico: “Peter Pan” che, per tutto il corso di quest’anno ha inseguito e condizionato le mie scelte letterarie e non solo.
Dapprima una mostra/evento curata da Cinzia Carboni per ‘I Luoghi della Scrittura’ che mi ha letteralmente rapito; poi il ritorno di uno spettacolo che a suo tempo mi aveva entusiasmato: “Peter Pan il Musical in 3D” del quale ho già parlato ampliamente nelle sezioni ‘eventi’ e in ‘articoli’ su questo stesso sito. Quindi la pubblicazione di un libro, “Margaret Ogilvy” di James Matthew Barrie, in ‘prima traduzione italiana’ e in ‘tiratura limitata a 200 esemplari’ che ripropone alcuni testi inediti di questo autore così poco frequentato in Italia, se non per essere l’autore di “Peter Pan”, erroneamente considerata una ‘favola’ e quindi relegata alla cifra bibliografica dei libri ‘per bambini’. Con l'aggiunta della traduzione italiana di “Ai Cinque”, una lettera ai fratelli Llewelyn e Davies che ne ispirarono la storia e che ci parla di uno straordinario rapporto tra madre e figlio, di un ambito familiare di tutto rispetto nella cornice di un’epoca, quella cosi detta ‘vittoriana’ a cavallo dei ultimi due secoli appena trascorsi.
Un’epoca che stando ai ‘nessi’ del libro vale la pena di rivisitare per approfondire quelle che sono le identità psicologiche dei bambini, dallo sviluppo della loro intelligenza a come essa cambia ed evolve con il passare degli anni attraverso la ‘crescita’, e magari conoscere le cause pedagogiche di quella che per l’appunto prende il nome di ‘sindrome di Peter Pan’, cioè il ‘non voler crescere’ dei bambini o, se preferite il rimanere bambini di molti adulti. La nostra vita, lo sappiamo, è un inarrestabile fluire di cambiamenti; con il succedersi delle età mutano le nostre competenze, il nostro modo di percepire e interpretare la società che abbiamo contribuito a formare e, con essa, le responsabilità che abbiamo nel preservarla e migliorarla, con annessi tutti i bla bla del caso. Fatto questo di cui non intendo scrivere adesso, per quanto invece introdurmi nel complicato gioco di interazione tra biologia umana e ambiente naturale rifacendomi a ciò che siamo, se lo siamo, in virtù di un’imprevedibile combinazione di istruzioni genetiche ed esperienze vissute.
Perché è evidente che l’esperienza vissuta in famiglia: nel caso di questo libro, dell’attaccamento alla madre virtuosa o liberal che sia; e nella società in cui viviamo in stato quasi d’anarchia fino ad una certa età; l’adattamento genetico non smette mai di assecondare le diverse tappe della nostra esistenza a confronto con quella altrui che, si 'conforma' o si 'ribella' al proprio modello originale. Questa la dicotomia che nel libro si pone all’evidenza di chi lo legge oggi, pur senza affermarne la veridicità; e che mi permetto qui di sottolineare come proposta di ricerca per la comprensione di quanto e come l’ ‘immaginazione letteraria' e la ‘realtà’ di ieri siano confluite nella ‘riflessione sociale’ e la ‘dignità umana’ di oggi. La cui comparazione fra ‘individui reali’ e ‘personaggi creati’ non tengono il confronto nella letteratura dedicata all’infanzia di ieri: a partire da Charles Dickens e J. M. Barrie per approdare agli italiani De Amicis e a Collodi, con quella di oggi più ‘vista’ che ‘letta’ dei Simpson o di Peppa Pig.
Il problema è, secondo approfonditi studi pedagogici e psichiatrici, che mentre per la stragrande maggioranza sono gli adulti a scrivere le storie per l’infanzia (incluso me che scrivo), ad enfatizzare, per dirla con ‘Peter Pan’, un mondo che non c’è (Neverland), spostando le lancette del tempo (l’orologio ingoiato dal coccodrillo), con un inqualificabile "C’era una volta..", narrando di personaggi (Capitan Uncino, Wendy, Giglio Tigrato, Sirene, Fate, Pirati, Indiani) del tutto fuori della realtà, con caratteristiche da Cartoon e un linguaggio sopra le righe a imitazione, fra la demenza e il buon senso, di quello dei bambini, dove, a differenza di quella che è la realtà, come conclusione inequivocabile, arriva il ‘lieto fine’.
“Si sa che lo scrittore di libri per l’infanzia nato da una decisione infantile che, è chiaro, ha avuto luogo proprio durante l’infanzia. Solo allora possiamo affrontare l’immensità oceanica delle parole; l’avventura di leggerle e di scriverle; di assimilare tutti quegli strumenti della conoscenza in così poco tempo. Pensandoci bene, con un po’ di logica, dovremmo imparare a leggere e scrivere solo quando siamo già adulti, razionali e riflessivi, e non a quello stadio quasi selvatico. Però, è certo, se fosse così nessuno avrebbe il coraggio di diventare scrittore. Perché se ci pensate bene, non esiste decisione più infantile di quella di diventare uno scrittore: una decisione che – salvo rare eccezioni – si prende sempre da bambini, perché solo allora si ha la quantità di follia sufficiente per affrontare la sfida di una simile vocazione. (..) La formazione di uno scrittore ha implicita in sé la deformazione di tante altre professioni e così ci scopriamo figli orfani di un primo impulso che scatta nell’infanzia, nell’età più freak di tutte le età, durante quel breve e lungo periodo in cui cambiamo un poco tuti i giorni e tutte le notti per il solo piacere di saperci eletti e maledetti e unici, in cui capiamo che non cresceremo mai. È il caso di Barrie. (..) Ora che ci penso, Peter Pan è importante e decisivo quanto Amleto. La differenza sta nel fatto che mentre uno si domanda il famoso ‘Essere o non essere’, l’altro lo tramuta in un ‘Crescere o non crescere’.” (Rodrigo Fresán)
Tutto ciò per dire che in questo libro il ‘personaggio’ è lo scrittore Barrie il quale, avvalendosi dello stile ‘diaristico’ ci permette di penetrare più a fondo la sua personalissima dote introspettiva e la sua personalità davvero originale. Come del resto ci informano nella ‘Prefazione’ Federico Sabatini e Francesco Tranquilli nelle ‘Note’ alla sua eloquente traduzione qui sotto riportata: “Tradurre un testo di un autore scozzese di fine Ottocento, per di più raffinatissimo come James M. Barrie, presenta una serie di difficoltà, le più insidiose delle quali si nascondono là dove non te lo aspetteresti. Non si tratta solo di far attraversare al testo il ponte da una lingua all’altra, ma anche quello dell’epoca e dell’ambiente culturale (la Scozia e Londra nella cosiddetta Età Vittoriana). Consapevoli che in ogni traduzione qualcosa va perduto, ma desiderosi di mantenere tutto quanto ci sembrava utile e prezioso, in una parola indispensabile, abbiamo necessariamente rinunciato a rendere in italiano la presenza nel testo di partenza di moltissime infiltrazioni di lingua scozzese che l’autore lascia penetrare nella sua prosa con una naturalezza divertita e indulgente.
Né ci siamo posti il problema di come trasmettere il suono e la cadenza delle numerose frasi di Margaret Ogilvy che l’autore riporta direttamente nel dialetto scozzese parlato da sua madre (e anche da lui stesso in casa). Più che curare il ritmo del dialogo e allentare un po’ le briglie alla sintassi rendendola più colloquiale, non crediamo si potesse fare. Ci siamo ‘divertiti’, invece, a spiegare i riferimenti più o meno impliciti a tutte le tradizioni, i personaggi, le circostanze storiche che Barrie dissemina nel corso delle sue memorie, molti dei quali saranno stati magari immediatamente comprensibili per il pubblico dell’epoca ma certo sarebbero risultati oscuri ai lettori di oggi. (..) In particolare, abbiamo lavorato per far venire alla luce tutti i riferimenti all’opera dell’amico e rivale Robert L. Stevenson nel capitolo a lui dedicato (il settimo).
Un’ultima annotazione sull’uso dei tempi verbali. Come dice il nome stesso del genere letterario a cui quest’opera appartiene, il ‘memoir’, a guidare la scrittura non sono qui un intreccio narrativo o un’argomentazione, ma il libero flusso del ricordo dal presente al passato e viceversa. Da qui, l’uso molto libero che Barrie fa dei diversi piani temporali, e il passaggio fluido, imprevedibile, sorprendente dal passato remoto all’imperfetto, dal passato prossimo al presente semplice. Questi scarti di tempo narrativo, piuttosto indisciplinati dal punto di vista di una scrittura idealmente corretta, riportano sulla pagina con una fedeltà quasi tangibile l’allontanarsi e il riavvicinarsi della memoria nella mente di chi scrive, rievocando abitudini, episodi, emozioni, per poi fissarli spesso con teatrale icasticità, in due battute di dialogo, in un ritrovato (o mai perduto) presente. (..)
Sappiamo però che Barrie non era distratto: voleva lasciarsi andare al ricordo, alla nostalgia, alla tenerezza, alla libera associazione dei pensieri. È quanto abbiamo cercare di fare anche noi, traducendolo; speriamo di essere riusciti, almeno in parte, a convincere anche chi leggerà a lasciarsi andare.”
Tutto questo per dire che il 'caso' torna a ripetersi e coglie, proprio lì dove meno ce lo aspettiamo il 'senso' di quello che forse ci riservava la vita. Nel mio caso che sarebbe arrivato il momento 'senile' di riscoprire "Peter Pan". Ed è quello che tutti noi potremmo riuscire a fare non solo andando a rileggere il libro nell’adattamento testuale e la bellissima veste illustrata di Paolo Ghirardi (Edizioni Corsare 2012) dove il segno grafico e il gesto pittorico scivolano grandiosi nella fantasia del racconto poetico, pur nel rispetto della tradizione ‘elegante e forbita’ della migliore iconografia libraria per l’infanzia. Ma anche riascoltando le musiche e le canzoni usate nell’originale esecuzione di Edoardo Bennato, scritte per il Musical andato in scena al Teatro degli Arcimboldi di Milano nel 2009, oggi in DVD. Nonché, ma questa è una escluvità per i ‘nostalgici’ del settore, a rivedere il classico “Peter Pan” in versione cartoon di Walt Disney.
Ancor più cercando di accaparrarci una copia di “Margaret Ogilvy” di James Matthew Barrie in ‘prima traduzione italiana’ uscito in ‘tiratura limitata a 200 esemplari’.
(*) Il testo di Rodrigo Fresán è tratto da “I Giardini di Kensington” – Mondadori 2006)
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