Ci eravamo lasciati dopo la lettura de La vita fa rumore (gennaio 2019) parlando a proposito della poesia di Roberto Mosi di una scrittura fortemente caratterizzata da un' incisione critica ed etica del reale, da un racconto bruciante nelle dolenze e nelle rivendicazioni del presente. Ed è ciò che a distanza di tre anni ritroviamo in queste pagine, il dettato adesso arricchito però da una grazia prima appena sottesa, appena evocata, a dimostrazione allora di una scrittura mai arenata in se stessa. Una grazia data nell'espressione di un verso che trae forza da sé, nella fiducia che risale dall'apprendere, dal saper osservare- e ascoltare- nella rimessa in moto dei mondi entro una attualizzazione sempre nuova della bellezza ora per partecipata storia ora per edificata memoria. Siamo pertanto d'accordo con Ladolfi quando nella prefazione, a proposito di un andare a riscoprire i luoghi in cui si è vissuti (Firenze) dal fondo delle sue radici e delle sue sofferenze, Mosi compie un'operazione che va a sottrarre "al tempo la sua azione devastante" ricucendone piuttosto nella contemplazione e nello stupore prossimità e risonanze. L'occasione come sempre però è data dalla vita stessa, dal suo procedere per rinascite tra le maglie delle sue direzioni, delle sue annunciazioni, qui nel volto di nozze della figlia o della amata nipotina Marta.. È come se, nel passaggio e nel nutrimento di vita che queste occasioni consentono, la poesia lo consegnasse entro uno sguardo e uno spazio finalmente sollevato e perciò grato in quel ritorno di sostanza che viene dall'amore. La gratitudine dunque è il primo frutto di questi versi a conferma di quel risanamento cui la poesia comunque conduce (e a spiegare insieme il perché del titolo, Erato secondo la mitologia classica la Musa del canto orale e della poesia amorosa) nell'andamento chiaro- e caldo- di una parola sempre accogliente, sempre funzionalmente aperta. E dunque condivisa nella consapevolezza di una identità nell'intreccio con la vita degli altri, letizia e pesi mai scissi da un costruire comune. Ecco allora nelle risonanze i richiami obbligati non solo a una storia personale o a una Storia come detto che viene dall'alto (la città dei Medici, lo splendore di un'arte e di un pensiero che ancora ci interrogano) ma anche alle cadute e alle mancanze di chi della storia non riesce a tenere il passo. Ed è questo certamente uno dei punti di forza del suo dettato nella costanza del mantener "fermo il timone/ sul mare aperto". Timone che ha il suo senso nel saggiare così la consistenza del presente e che nel finale si fa monito nella lettera cui proverà sciogliere alla piccola Marta motivi e incanti del dire poetico. La poesia infatti, ribadisce, ha autenticità nel timbro se sa guardare al vero della vita, "ai tempi prossimi che stanno per arrivare" facendosi strumento contro l'opacità dell'epoca. Una affettuosa- e sapiente- lezione questa che riguarda tutti noi.