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Intervista a cura di Giovanni Dino

Comunicazione di Nicola Romano
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Pubblicato il 29/10/2013 14:13:31

- Cos’è per te la poesia, e che posto occupa nella tua vita?

Il concetto di poesia ha sempre avuto una valenza soggettiva derivante dal bagaglio culturale ed emozionale di ciascuno di noi, e quindi aveva ragione Borges quando diceva che poesia vuol dire tanto ma vuol dire pure niente. Esistono numerose definizioni che messe insieme non riescono a restituire una precisa definizione sulla consistenza della poesia, e forse è meglio così. Per me la poesia rappresenta un recinto dell’anima, dove mettersi al riparo da tutti quegli eventi che non appartengono alla storia intima ed essenziale dell’uomo. Facendoci l’abitudine poi diventa un modo di essere e di vedere le cose del vissuto. Pur riconoscendone il grande valore umano, vorrei tanto dire che essa occupa il primo posto nella mia vita, ma non è così dal momento che, per questioni di sopravvivenza, bisogna avere a che fare con le stizzose pratiche della quotidianità e della sopravvivenza. Per vivere esclusivamente di poesia bisogna essere sufficientemente ricchi oppure poveri in canna, non c’è una via di mezzo.

- La voce del poeta si fa sentire nella società come nel passato oppure è una blanda figura rappresentativa di bella mostra chiusa/relegata nei libri?

Evidentemente non esiste più il poeta di corte, o quello che riesce a smuovere le folle o le coscienze, nel nostro tempo oramai sono in declino le ”autorità” sociali ed istituzionali. I tempi della poesia sociale sono regolati pure da momenti politici di una certa particolarità; finiti questi, essere poeti (specialmente oggi) è un fattore quasi privato, una nobile dedizione da condividere con pochi compagni di tenda e niente più. E comunque è un peccato disperdere le potenzialità che può avere la poesia nell’ambito della comunicazione fra esseri umani, si può partire da un qualsiasi verso per giungere poi a grossi temi pratici o esistenziali. Ne è prova il famoso “M’illumino d’immenso”.

- Chi è il poeta oggi, e qual è il suo identikit psicologico, spirituale, morale, culturale e politico?

Il poeta di oggi, come quello di ieri, cerca una sua verità relativa per dare un senso a tutto ciò che esiste o che è in divenire. Deve essere certamente dotato di buone risorse indagatorie, non disgiunte da una certa dimestichezza con la scrittura che deve essere possibilmente creativa. Fare un identikit è difficile, si può trovare un buon poeta anche fra chi non ha un’elevatissima cultura, o fra chi non è molto impegnato in ambito sociale o politico, perché il pretesto poetico nasce da un desiderio di conoscenza e dalla voglia di rendere più armonica la realtà.     

- Ma scrivere poesie serve più a sé stessi o agli altri?

Serve principalmente per spiegare a sé stessi la vita, per cercare di decifrare in forma analitica e letterale tutti quei fenomeni che vanno a sviluppare un’elaborazione a livello interiore. Se in questa elaborazione resa poi in forma di scrittura qualcun altro (il lettore) s’identifica, vuol dire che la poesia, per trasposizione, è servita anche agli altri e diventa quindi “messaggio”. Aggiungo, inoltre, che un lettore può “sentire” attraverso una poesia delle cose diverse da quelle che ha provato l’autore, per cui i punti di osservazione possono essere tanti e diversi fra di loro.

- La poesia educa, consiglia, fa riflettere, e a cos’altro serve?

La poesia educa al sacrificio, all’impegno ed alla ricerca, richiede mezzi e strumenti che non vengono insegnati in nessuna scuola, al contrario dei musicisti che godono del conservatorio o del pittore che gode dell’accademia di belle arti. Bisogna comunque puntualizzare che “fare poesia” è ben diverso dallo “scrivere poesie”, altrimenti non ci s’intende. La poesia, in definitiva, insegna a trarre l’elemento “impalpabile” da quel che di materiale ci offre la vita di tutti i giorni. Il poeta è come un fisico, deve far passare la “materia” dallo stato liquido/solido allo stato “gassoso”.  Dedicarsi alla “parola” è un grosso sacrificio, è più comodo stare seduti, immobili e lasciarsi prendere dalle immagini di ogni tipo che scorrono dinanzi agli occhi.

- Perché quasi tutti i giovani scrivono poesie quando s’innamorano, ma poi abbandonano questo approccio con i versi?

Perché il periodo dell’innamoramento è il primo momento in cui si smuovono in modo sensibile le  corde interiori, e per capire cosa succede dentro ci si confronta e conforta con la scrittura. Occorrerebbe continuare con questa pratica ogni volta che colpisce, in senso positivo o negativo, qualche accadimento emozionale, e quindi affinare poi, con l’ausilio dei mezzi a cui ho accennato, il proprio modo di comunicare attraverso immagini particolari e soluzioni espositive di un certo effetto, aiutandosi magari con delle metafore o con semplicissimi accostamenti linguistici. La poesia nasce sia dalla gioia che dal dolore, ma il risultato che si ottiene è sempre gioioso. 

- Ma è proprio vero che oggi il popolo dei poeti e di coloro che decidono di racchiudere i propri pensieri nella scrittura sono molto di più rispetto al passato?

In questo momento di grandi risvolti tecnologici e informatici, di comunicazione di massa e di globalizzazione l’uomo, secondo me, è sempre più solo e, quindi, cerca rifugio nell’intimità del proprio essere, che non può volere sempre ciò che gli viene proposto a fini commerciali da diverse parti. Arrivati a un certo punto di saturazione, si ha bisogno inevitabilmente di trascendenza, per cui la conseguenza naturale (ed auspicabile) è quella di rivolgersi alle arti in genere e, soprattutto, alla religione. Pertanto, è meglio un popolo di poeti che un popolo di perditempo.

- Da quanto tempo scrivi poesia, e quali sono gli autori del passato che più prediligi?

Ho cominciato in età matura, verso i 30 anni (ora ne ho il doppio), perché prima sentivo qualcosa dentro ma non la sapevo esprimere a dovere, poi il tutto è venuto fuori con forza ed ha richiesto una necessaria disciplina formale. Fra gli autori italiani del recente passato prediligo i poeti Alfonso Gatto, Cristina Campo, Sandro Penna, Bartolo Cattafi, mentre fra gli stranieri la mia attenzione va a T.S. Eliot, Neruda, Raphael Alberti, Paul Celan.

- Quali opere hai pubblicato, e quali sono i premi più importanti ricevuti?

Tra libri e “plaquette” ho fin qui pubblicato undici raccolte di poesia, che vanno dal 1983 al 2003. I premi dei concorsi letterari sono serviti per verificare i miei lavori e per trovare lo sprone a continuare. Al di fuori dei concorsi che lasciano il tempo che trovano, esistono “premi” di altra natura che consistono in riconoscimenti e confronti con amici e con gente comune, oppure con personaggi “veri” del mondo letterario nazionale.

- Nel 1997 sei stato chiamato a rappresentare i poeti e la poesia dei siciliani in Irlanda; puoi    parlarcene?

E’ stata un’esperienza unica e nata per caso: insieme ai poeti Maria Attanasio e Carmelo Zaffora, anch’essi siciliani, e con la partecipazione dell’attrice Mariella Lo Giudice dello Stabile di Catania, sono stato invitato dall’Istituto italiano di cultura a Dublino per tenere degli incontri di poesia in varie città irlandesi. Oltre che a Dublino, ci hanno portato a Belfast, a Derry, a Letterkenny e in altri paesi del Donegal, una regione settentrionale dell’Irlanda. Abbiamo conosciuto altri poeti irlandesi che recitavano i loro testi in lingua gaelica, abbiamo incontrato italiani che vivevano in quei luoghi, ma soprattutto siamo venuti a contatto con una realtà umana e paesaggistica veramente interessante e che ci ha arricchiti moltissimo. Ad un incontro mi hanno chiesto di fare un parallelo tra la Sicilia e l’Irlanda, ed io ho parlato di similitudine fra le due “isole”, tutt’e due collocate geograficamente alla periferia dell’Europa, che in quel momento avevano in comune una certa “condizione”: per loro il separatismo e per noi la mafia. Inoltre, ho accostato quello che per loro è il mito celtico alla nostra mitologia greca, cosa che è piaciuta tanto. Ecco, lì i poeti sono tenuti in maggior considerazione, lo Stato gli sovvenziona un tot di pubblicazioni all’anno, e se vengono invitati a delle manifestazioni vengono giustamente ricompensati, anche…con dei cavalli.

- Hai diretto una rivista, presentato libri, partecipato a giurie di concorsi letterari, collaborato a quotidiani e periodici; parlaci della tua vita di poeta, di giornalista, di scrittore.

Per come ti accennavo poco fa, mi piacerebbe fare tutto questo a tempo pieno, aggiungo che sono anche ”paroliere” regolarmente iscritto alla Siae. La scrittura mi affascina, mi fa sentire più partecipe al mondo, mi fa entrare in sintonia con il battito del tempo, mi restituisce un senso di appartenenza ad una comunità umana che ha bisogno di scambi intellettuali e di ragionevoli determinazioni. La scrittura viaggia, ti mette in contatto con tanta gente, ti apre degli orizzonti che non potevi prevedere prima.

- Ti sei mai adoperato per promuovere nuovi talenti?

Pur avendo fatto anche l’operatore culturale, non sono mai stato un talent-scout, nel passato ho solo incoraggiato qualcuno che già dalle prime battute dimostrava di avere una buona intuizione, e in linea di massima non mi sono mai sbagliato.


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