I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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I colori del buio e altre poesie
I colori del buio
E lo ricordo il viso di mia madre graffiato da una virgola di luce i suoi occhi così stanchi la pioggia che si posava sui suoi capelli di ragazza sul suo corpo addormentato di profilo
e li ricordo quei camici bianchi che correvano in un viavai disordinato centellinando gocce di dolore sul suo seno così chiaro così profumato di vischio e calicanto
e lo ricordo il brigante appostato in fondo alla strada la primavera che sfuggiva dalle dita e quel giardino degli aranci dove si incendiavano le stelle si piangevano lacrime di sale
quando me ne andavo via di spalle il cane di terracotta in tasca l''insegna che rideva sul fianco del tram
e lei restava sola con i colori del buio posati sul cuscino ed il sogno di rivedere ancora una volta il mare una luna d'inverno l'ultimo margine di fuga
ed intanto il capitano Achab cercava una barca vuota all'approdo per nascondere l'attesa il male di capire il dolore.
Era già dicembre il tempo in cui dura la neve.
Di notte, nel buio (A Papa Francesco)
Ed ora che vivi tra i lupi Francesco naufrago di mille tempeste in una terra dove l'ipocrisia confonde i passi e le stagioni dove tutto implode in un vuoto d'empatia senza lanci di fiori e fuochi d'artificio
ascolta nel silenzio il passo tremulo delle nostre frivole illusioni guarda i tramonti d'erba della sera i mattini di maggio ingentiliti dalle rose il girotondo delle nuvole, il volo degli aironi
affacciati al balcone e prega per questo futuro senza nessun richiamo da pastore per questi magi che non vengono da oriente per l'indolente carezza della sera per l'arroganza che vince contro il nulla per il cammino costante del dolore.
Aiutaci a contrastare questo tempo senza soste, senza sogni, senza riscatti tu che conosci il rumore della pioggia la croce del condannato il ricordo dei carnefici, gli occhi vivi delle fosse
tu che sei per noi padre, l'eco di Dio, la più bella fiaba della buonanotte quando nel buio s'addensa il pianto in questa vita dalle ali spezzate che profuma di neve di quella neve bianca di febbraio.
Il senso lieve della vita
E lassù ci sono echi d'infinito silenzio, sussurri, bisbigli, il vento che passa col suono dell'arpa e bacia la pietra d'argento un vespro di vaghi lamenti le nubi leggeri e sottili
lassù l'alba abbraccia un mattino già antico la foglia ha il suo canto, un travaglio di fronda il sole non copre il candore del tutto scintilla beato invalidando il grigio dell'ombra
e c'è il volo plasmato del nibbio sulle cime irrorate di rosso il suo planare in un mare di bianco cristallo
i sassi hanno il cuore eroso dal tempo un infinito biancore che abbaglia la postura ed il respiro di terra
ed io cammino nel confine tra il sogno e la veglia nei riflessi soffusi d'azzurro calpestando aghi di pino,una radura senza confini
mentre l'anima lenisce un piccolo vello di luna e cerca a ritroso la vita il suo senso così immenso, così immobile,vero.
L'ospite inatteso
E' arrivato in un giorno d'inverno la lunga giacca di velluto azzurro, laborioso come un'ape calpestando la rugiada del prato, gli sterpi delle rose,gli inganni mutevoli dei sogni
è entrato a tentoni, senza bussare,senza chiedere permesso divenendo un'ombra confusa addossato alla frontiera dei tuoi occhi,alla pianura del tuo cuore alle periferie delle tue giunture, delle tue ossa si è fatto spazio piano piano dentro l'armadio di quercia posandosi in silenzio tra sete giapponesi e porcellane bianche
si è assoggettato al nostro calendario ingoiando il tempo,la lentezza della luna, le fiabe di calicanto di novembre ha stilato condanne,destini, perdizioni rilucendo malvagio nelle sue dita da ragno vermiglio, torrido di sole, sul nostro amore immenso, rotondo, bello come un fiore.
Ci è caduto addosso sorgendo dal nulla,perfido bacio della buona notte e la nostra nave si è persa in una burrasca senza stelle, in un mare senza sirene vagando sempre più a largo, in onde sempre più lunghe
ed io ho cercato una ragione, la vetrina di un caffè un gesto che fosse scintilla, una lacrima di lusso chiudendo gli occhi allo spasmo infinito dell'inganno, all'inizio e poi alla fine alla pioggia dentro il vento di ponente al temporale che si annunciava indifferente
e mi sono attardata nel tuo corpo chiaro e bello amandoti come se amarti fosse un abito indossato la mattina.
Ed anche adesso, tra le nubi basse di dicembre con questo ospite inatteso dentro il letto con i suoi passi che calpestano la neve nella nostra casa di sabbia e nebbia dove si è fatto sera
ti amo in questo vuoto a strapiombo sulla vita e sopra il mare.
La sera di Macondo ( A G.G. Marquez)
E' lassù oltre la siepe di rose Macondo dove la luce declina sulle capanne d'erba, dove ci sono pane fresco, latte e vino caldo camerieri con livree e pasticcini un piattino con gli spiccioli e le chiavi
ci sono sere come tante lassù a Macondo le donne hanno occhi d'oro, seni in fiore, ombre viola posate sopra i fianchi e le case vivono tra rampicanti d'edera,con terrari e tartarughe le porte aperte all'alba, le finestre riversate sul cortile
si mangia con bicchieri da osteria, lassù a Macondo si accordano chitarre al canto di cicale si arrotolano le ciocche dei capelli delle donne e dopo mezzanotte ci si rannicchia dentro il sonno ogni sera con un amore nuovo il gelsomino fiorito sul cuscino.
Ed ora che sei lassù, libero docente nella cattedra dei sogni, scriverai sul ventre basso delle nuvole del viaggio del Buendia, del colonnello, delle puttane tristi della follia della gente che cammina
e noi quaggiù saremo soli nell'ora delle strade vuote le bandiere senza vento a concederti l'addio, commossi dal ricordo, dalla lentezza del tempo che ci veglia.
Avremo la polvere nel cuore e nelle scarpe buone al di là del nostro andare alla deriva dispiegati come giunchi al vento freddo della sera.
Il castagno, il mirto, e l'asfodelo
Avvolto in uno sbuffo d'alba su un bosco giallo di calendule, tra malva, borragine e pratoline svettava alto e sinuoso il vecchio castagno le fronde mosse dal maestrale il sole che si allungava in tiepidi raggi accarezzando il tronco, i rami, i nodi le epidermidi dorate delle radici
c'erano farfalle tutt'intorno che si libravano leggere in cerchi stretti limpide di colori, stillanti di oscure perdizioni e c'era il minuto pettirosso nascosto tra i rami che paziente attendeva i vermi al riparo dalle foglie il merlo dagli occhi d'opale che braccava in silenzio piccole prede l'usignolo dall'ugola d'oro che cinguettava felice nel ramo più alto.
Faceva l'amore con il mirto e l'asfodelo il vecchio castagno incendiandosi d'azzurro baciando il glicine, la rosa e la gramigna accarezzando la perfida mantide la lenta processione delle formiche i fili d'erba arrugginita i voli in fila indiana di due bombi
e di notte luccicava stranito al buio, algido, assente schiudendo le labbra della notte cercando uno spigolo di cielo mentre le stelle si espandevano tra il viola dei fiori addormentati e la luna calante svelava il suo tenue rossore.
Tutto si faceva silenzio il bosco si addormentava sfinito esausto d'argento
lontano sfilava il lungo rimprovero del vento e nel cielo si leggeva la magia di Dio.
Apostasia d'amore ( a Meriam Yehya )
Adesso che vedo sulla neve le orme di mio figlio così leggere, con un azzurro dove si posa l'ombra tutto è piagato,immobile il cielo che si allarga e si ispessisce l'anima che si accascia in una marcia stentata la morte che mi cresce addosso come un tralcio di vite
ogni giorno penso alle nuvole morbide e tristi a quella corda stretta al collo al sole ed ai suoi raggi alle estati perdute che ritornano, ad una ad una prendendo il loro posto senza inganno, senza alcun dubbio
indugio pensando ad un pallone che echeggia tra i muri alti al profumo improvviso del trifoglio al calore dolce e rude dell'amore alle dita di mia madre che si stringevano in instancabili cadenze ora che la malasorte ha dettato le sue parole sapienti ed è dolce il cenno della falce che mi attende oltre la pergola, al crocevia delle stelle.
Oggi guardo il mare, il confine del sogno nel mio abito di porpora e con la corona d'oro contando sulle dita le poche stagioni che mi restano abbracciando il mio Dio dagli occhi luminosi il mio Dio del disincanto.
Fuori nevica silenzio e non c'è neve.
Miloud
Raccoglie le lacrime smarrite dei bimbi di strada Miloud la paura spietata che scintilla negli occhi i loro cuori immobili come relitti dopo una piena i loro ansiti esterrefatti nella notte nera
cammina nel silenzio sospeso delle strade di Bucarest Miloud nella disperazione fluttuante della sera, in un tempo accorciato consolando bimbi posati come foglie morte sui marciapiedi le teste affondate in stracci sporchi le mani caute ed esitanti i colori dei capelli che ricadono l'uno sull'altro il formicolio dei piedi scalzi
Ha il sorriso dolce amaro di un clown Miloud quando guarda quel cielo di sabbie mobili, di stelle gialle quasi spente e conta anime in blocco, minuti crudeli le ore che sembrano un castigo in una terra vestita di neve in uno scarabocchio di oscurità sempre più grande
fischietta, portando a spasso i suoi sogni Miloud cercando frammenti di bellezza nella morte salvando boccioli di margherite dai lividi viola e blu smarriti tra carte di caramelle e nuvole posati in disordine sui muri, tra ciottoli e gradini su cartoni brulicanti di miseria e disperazione
e conta le lentiggini che si affollano intorno ai volti come un volo di vespe abbagliandoli con un lume di lucciola regalandogli l'approdo ad un bianco lido dove si gioca col gesso sui marciapiedi dove si dorme sotto ciliegi in fiore dove i raggi del sole pizzicano la pelle dove ci sono cespi di basilico e semenzai
e i sogni sono sussurri scomposti tra un refolo di vento ed un aquilone.
Il volo del nibbio
E lo vedo il volo del nibbio, esausto d'argento su prati appena rinati di gialle calendule lieve si assurge tra biancospini fioriti sul sole diafano ed immobile, sul cielo che a poco a poco s'abbruna lassù tra le stelle che incendiano i monti sull'appennino che luccica stranito di buio dolce grembo di cuculi, allodole, lucciole
e la vedo cadere la luna sull'estate appena sbocciata in questa natura che muta evolvendo, rimanendo se stessa ed osservo la mantide sposa, il canto dei grilli, le rondini, il polline, i colchici i tremuli pascoli ammantati di verde il papavero rosso che emana calore la rana che dello stagno lambisce le sponde
e la vedo la pioggia d'autunno martellante sulla farfalla che vola sul castagno che abbandona i suoi ricci sulle foglie che cadono incendiando il bosco di rosso e di ori e sento vaghe presenza sfumate nel grigio la quiete ed il dolce abbandono dei sensi
e poi sulla filigrana dei monti la vedo cadere la neve sospesa in un arco ormai breve si raccoglie sull'inverno maculato di bianco penetrando volubili nubi, le groppe dei monti l'antico soffio dell'impavido vento.
Mi cullo in quest'azzurro colorato d'immenso profumato di salvia e di menta e vago col cuore oltre le zolle dei campi in questa terra dove silenziosi sfumano i sogni e le ombre hanno il sapore del tempo della storia infinita del mondo, della luce maestosa di Dio.
Lars il cecchino
Si ricorda bambino in mezzo ad un campo di neve Lars il cecchino un cappello di piume,la spada di legno nel fianco a giocare con una fata cattiva ed imbrogliona con altri bimbi tatuati d'argento
ed adesso che si è seccato il crepuscolo ed a Kiev le rose si sono fatte di sangue Lars vede ancora il campo di neve ma ci sono cavalli e donne bionde dai denti perlacei gli occhi infossati, le labbra sfinite le voci straziate in un mezzogiorno di guerra
tutto è svogliato nell'ora del primo mattino anche i gigli e le api tutto è fiaccato dal troppo dolore anche il polso di Lara
e le colombe hanno un volo sbilenco in quel vento grigio di stelle che si posa sul sonno e la veglia sui fiori d'arancio e diventa terra, sangue e infine silenzio. L’isola dei conigli (04-10-2013) Inascoltati sono le grida, stanotte, all’isola dei conigli il pianto è inghiottito dal silenzio, immobile, senza eco le ombre solcano maree ed il tempo oscilla in onde lunghe dove estranea affiora la morte, l’apocalisse, il quarto vuoto tace la vita premono i gesti,gli schianti e poi le voci l’ansimare del mare, la caduta e tutti accampati al limite del nero come fosse fuoco percossi dall’invisibile, dalle schegge di brina dell’inverno e bimbi, madri,padri come fango levitano come appesi ad una croce si posano, si tendono, s’allungano, profumati d’Africa così la vita cede cantando in contro tempo in uno Stige d’acqua salata, in un ignoto limbo dispiegato nella quiete. Non ci sono galeoni scomparsi, sfavillio di pesci non ci sono organze stasera alle finestre in questa bonaccia di tempesta il vento sfiora gli albicocchi e canta il vuoto che lamenta perdite,le parole della neve brilla nel mare solo il rumore delle ossa che si tende piano . E lentamente tutto divora.
I fiori bianchi della Louisiana
Ed il cuore ritornava verso casa planava sopra il sole d'Africa sfuggendo al tempo degli uragani, alla spuma delle onde e c'erano uccelli abbozzati nel cielo, nasturzi fioriti il silenzio degli alberi , un ragno che tesseva una fitta trama
ed il corpo restava qui, leggero come una foglia in questi ettari di terra condannata a raccogliere i fiori bianchi della Louisiana nell'indifferenza delle stagioni, nel disordine del mondo con i passi pesanti di qualcuno nella notte
qui dove non c'erano lucciole e stelle dove i più se ne andavano con le ombre qui dove la morte faceva l'amore con le catene con la solitudine dell'esilio e c'era il dolore, le nuvole in corsa sopra ai declivi una piccola meraviglia di polvere.
E i bianchi avevano occhi da tigre, il panciotto colorato tiravano fili, cambiavano scenario preparavano il tè, i cucchiai, i biscotti conversavano di scambi e denaro in un tempo senza impronte luttuoso e monocorde in queste piantagioni di fioriture tiepide come cristallo dove si attutivano le voci degli schiavi e si addensava afosa l'estate
e non c'erano stanze, solo capanne e sandali laceri la vita che si dissolveva lentamente nel medesimo tragitto nelle mani un petalo di fiore di cotone e solo l'abbandono intorno nella consolazione arresa ad un triste oblio.
A Teresa (da Jacopo Ortis)
Lo porto sottopelle quest'invero infinito che plana in cerchi stretti in questa terra di magnolie a fior di labbra di bave di sole e spiccioli di nuvole di arcobaleni e luci di fiume
solo tu Teresa mi rimbocchi l’orizzonte condensi il fiato nelle pagine del tempo stampigliando a fuoco sulle mie mani lo stupore dell'amore salendo scale di diamanti giocando all'abbandono nella tua vita di fanciulla
ti rispecchi in pozze di acqua pura nella stanza svelata in controluce mentre cogli ginestre nell’orto del Getsemani tra il viola dei fiori addormentati immemore di temporali e nebbie.
Stasera disegno a calco l'albero di more nell’angolo di un cielo di settembre in un lieve pulviscolo di stelle vago insonne seppellendo la mia anima gli occhi che s'annegano nel vento parco alle parole ai suoni lievi e senza storia
raccolgo sabbia in tasche con i buchi nelle emozioni sbiadite della quiete vado e non so dove come un cerbiatto braccato nel crepuscolo ti lascio la mia ombra per farti compagnia.
Alice(poesia per un bambino mai nato)
E tu che galleggiavi leggero come un fiore dell’acanto morbido,caldo,resistente avvolto da un immemore torpore in un amalgama di colori contrastanti crescevi piano in quel fiume leggendario che divide la morte dalla vita in un viaggio nella mia anima di madre la bocca di ciliegia, il sorriso del nonno partigiano, il taglio degli occhi di mia madre
e all’improvviso un lampo, il profilo dell’assenza in quel distacco prematuro in quel dolore come piena a filo d’orizzonte
tracimavo tutta in un senso di sgomento tu,troppo debole per vivere, troppo potente per morire diventasti un fuoco fatuo, una nemesi ancora da svelare una colpa da scontare, una condanna l’alone sfuocato di quel mondo che stavamo attraversando.
Rimase solo un brivido,un tramonto color grano ed io sospesa tra le foglie brillanti di settembre come un’ostrica che trasporta sabbia in una perla accarezzavo un cattivo vento di ponente e l’impensabile relegata all’inerzia, sostavo lieve in uno spazio neutro il cuore rimbombante nelle ossa,il pianto fermo nella gola sospesa in quell’amore assaggiato solo in sogno.
Io Alice nel paese degli orrori, per sempre,madre, accanto a quell’ultima illusione.
Calle luna
Ed oggi,è nascosta dalle ombre Calle Luna in fuga dalla miseria del mare in quelle case nere sotto il sole con ciuffi d’erba secca sul tartan crepato dove di bianco c’è solo una morte che si posa in boccio in quelle piattaforme di cemento e fa l’amore con la solitudine ed il silenzio con un inverno che porta in sé una nostalgia
c’è qualcosa che interrompe tutto all’improvviso uno scompiglio,una vertigine molesta in questo giorno dove bisbigliano i giocattoli estirpano il filo della vita, i colori confusi dell’orizzonte.
E’ bianca la morte a calle luna sulle veneziane del padiglione otto è posata lieve sui tratti del viso infossati di Francesco come spianati da una mano sulle chiazze blu sotto i suoi occhi, sulle palpebre venate da capillari rossi è lanciatrice di coltelli in giro tra ossa e tendini in cerchi stretti è ardesia di neve a rimuovere la bellezza nel suo canto
si perde il dono di sognare all’improvviso quando l’impronta molle del uso dito si incide a fuoco nel corpo martoriato di Francesco in un giorno che conosce già la misura del castigo.
Fuori suona calma la mezzanotte.
Columbine High School
Dimmi lentamente delle tue ombre di quella donna dagli stracci lunghi che ogni notte ti chiama per nome si prende l’azzurro della vita tocca impaurita bocche senza labbra sussurra parole e cose quando finisce la canzone della sera
dimmi di quel giorno d’aprile duro come la pietra, interminabile come il pianto, di quei Billy Kid che giocarono agli eroi creando un labirinto di dolore, una maledizione di tempo inginocchiarono il vento davanti alla morte fecero l’amore con grida e urla d’ innocenti col bianco sudario delle rose
dimmi del ricordo della mente della coda del fucile che fiammeggia ancora nella notte senza risposta, in dissolvenza, morendo piano nella dita come sogno dimmi della maschera che indossa il sole del silenzio degli alberi rotti in mille pezzi delle viole che fioriscono sui vetri colme di vuoto, illividite al cuore
dimmi di te, coperta di polvere e d’inverno dimmi del tempo che non scorre più quando morire è una cosa da poco e vivere ha negli occhi tutto il dolore della morte.
Del dolore E arrivava ogni giorno il dolore delicato, liquido, elegante dipanandosi nei filamenti dell’esistenza chiazzando di macchie dorate il volto di una madre conquistando in un connubio incestuoso le infiorescenze dei suoi giorni a risarcimento di un debito di cui non aveva memoria
si mescolava dentro, chimico, vorace, infinito violando il suo corpo affilato, la mappa dei suoi muscoli un orco delle fiabe dalla piccola mollezza criminale che appuntito come un coltello si faceva strappo annullando la luce delle comete, il profumo del glicine sotto il pergolato
era un fresco olocausto la vita quando si addormentava stanca tra gomitoli e ferri da lana tra piccoli riquadri di maglia colorata sognando alberi di ciliegio con la corda tirata il profumo del bucato steso ad asciugare il trionfo dei lillà accanto al cancello di ferro battuto quel figlio che giocava a nascondino dietro l’olmo
e poi un altro giorno ancora cercando di guarire la morte e non pensare a quel richiamo lontano che si faceva urlo,nodo scorsoio vibrava di imprecisioni in un orizzonte dagli occhi chiusi. E non aveva volo ma solo il precipizio.
E ancora la pioggia cade Cade la pioggia netta,incisiva sull'ordine perfetto delle cose sulla lentezza di ore tutte uguali sulla splendente agonia dell'autunno bianca di schiuma in un buco d'azzurro
scivola allargando il respiro sui silenzi vuoti di paese sugli ippocastani mossi dal grecale nel suo linguaggio misterioso in una pausa lunga e una breve
sfiora esausta i geometrici giochi di luci dei lampioni il rumore cavo delle persiane sbattute dal vento il bianco spettrale delle nubi basse impertinente,nottambula
fermandosi sulla pendola che batte la mezzanotte su quell'uomo dalle orme sbiadite che cerca nella pioggia l'ultimo amore perduto saturo di pena stretto al bavero del suo cappotto come un dolore. E ancora la pioggia cade.
Gli occhi di Kader
Il nero era tutto una sagoma oscura nell'ombra come un fossile antico laggiù nel profilo di macerie fumanti oltre le colline delle sabbie che corrono in una città di polvere e vento, di neve e di fuoco sottile
rammento i riflessi di un sole nascente, la danza dei gesti il cigolio delle ruote del carro le donne, quelle nascoste dalle pieghe del burka le guance infossate, il cuore come un filo di fumo rabbioso
e gli uomini con le Marakov in tasca la falce e il martello limato via dalle stelle le case di fango,il grigio infinito del cielo il fornello a petrolio il tè che fumava nel bricco dal becco ricurvo la città che moriva in un coprifuoco infinito
e io mischiavo i colori nel bianco sporco delle chiazze di neve dipingevo col blu le lacrime degli occhi di Kader, come il vetro delle anfore di Hierat quegli occhi ormai chiusi portati via da un odio crudele
gli occhi azzurri di Kader che non avrebbero sognato mai più.
I bimbi di San’a
E’ terra di latte e miele San’a, sospesa in dorate illusioni abbracciata dal grido stridulo del falco bella e crudele d’azzurro colma di melograni rossi,di rose profumate d’oriente
ha una finestra sul paesaggio San’a, e nel cortile corrono bimbi laceri di vento snelli come sciacalli, la pelle color cannella, il naso camuso,le labbra sottili dalla curva sprezzante
hanno il volto acceso, perso nel tempo della supplica figli di antiche carovane, figli di sabbie chiare il kalashnikov al collo, i dadi truccati alla cintura camminano già grandi,crepati dal calore del sole solcando rughe con sciabole luccicanti i pugnali d’argento rannicchiati in un angolo di cuore
stanno appoggiati al blu cupo della notte i bimbi di San’a piccoli agnelli divenuti lupi i capelli spettinati, le spalle avvezze alle intemperie consumati dalla polvere del tempo mai stati bimbi, nati già uomini le grida in falsetto del muezzin che chiama alla preghiera e solo il rosmarino nell’orto e mine sepolte tra l’oleandro e il grano.
Muoiono così, senza luna , senza sogni, senza stelle sul soffitto della stanza senza nessuna amore stretto in mano, consumati dalle onde funamboli incorniciati da ali di gabbiani i bimbi snelli come sciacalli di San’a.
La venticiquesima ora (A Elisabeth Fritzl)
E lui arrivava ogni giorno alla venticinquesima ora Il mio cuore che era la sua casa un bracconiere sulla preda a raccogliere un fiore nel giardino di cemento gli occhi fissi, teneramente impassibili per fare di me la sua venticinquesima ora la sua ossessione,il suo peccato
il tramonto era un fremito di pupille sulle sevizie tenere dei miei fianchi sul mio seno candido sulle labbra di rugiada che boccheggiavano tra i lamenti
aveva crepe di passaggio la notte quando lui titano dalle braccia conserte si scioglieva nei miei pori vergini nel mio corpo schiuso di farfalla nella brace sottile della perdizione
Ed io leccavo il buio,leggera come una lucciola lo stupore crudele della vita in quel tempo che bruciava Incenerendo a poco a poco illusioni e dolori Il principio e l’infinito La morte era una ragazza eterna quando lassù al piano di sopra era ancora primavera.
Id: 31127 Data: 08/03/2015 21:30:58
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