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Raccolta di poesie di Blumez
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

La posa di Catherine (Cortometraggi)

Entrarono in casa

e Catherine

non sapeva nemmeno il suo nome.


Lui accese la lampada a petrolio

e lei si tolse le scarpe all’angolo del letto.


La notte si appoggiò alla finestra

con discrezione

lui le offrì dell’assenzio

mentre si sfilava la gonna.


Le labbra un po’ sdegnose

i capelli rossi come un dipinto di Rossetti

quando lui andò allo specchio

Catherine staccò la guêpière.


Srotolò le calze lentamente

fino alle ginocchia

sulle cosce la neve.

Lui fingeva di non guardare

e lei scoprì il seno.


Distesa svogliata su un fianco

un piede svelò l’altro fra le lenzuola

la sua bellezza era

un chiaroscuro.


Solo allora chiese allo specchio:

“Catherine, quanto prendi?”

Sorrise Catherine nei brividi che toccano

la paura e l’ebbrezza:

“Nuda qualche franco in più”.


“Va bene” rispose e si voltò.

Si sedette al cavalletto

di fronte ad una tela

e prese a disegnare.


Incominciò dagli occhi

gli occhi di Catherine non erano ancora nudi.

   
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Id: 7201 Data: 14/02/2011 18:58:25

*

Il cilindro dell’ebreo (Cortometraggi)

La tesa premeva contro il vetro

si piegava ma

lui non doveva togliersi il cappello: una mancanza

nei confronti di Dio.

 

La tesa si rigirava

e si appiattiva sugli interni del locale,

dal vetro si poteva immaginare

una distesa di silenzio lacerarsi al centro come

un tessuto stretto ai fianchi.

E man mano che si sfoderava verso l’esterno

un crescendo intenso

più intenso

di rumori illegali di un vecchio speakeasy,

i tacchi veloci delle ballerine di charleston

il profumo dei distillati al chiaro di luna.

 

Il vetro era così pulito da prendersi tutta Chicago

i grattacieli

e per poco il lago Michigan.

Ma quando il sole sgattaiolava tra i grattaceli

e si specchiava in alcune ore del giorno,

sparivano lestofanti gli interni, la musica, i tacchi.

Si compattava il silenzio

e il tessuto si faceva morbido.

 

Lui non si preoccupava della tesa

nient’affatto

il naso e le mani contro il vetro finché

gli si avvicinò uno molto casual, con il borsalino in testa

e gli chiese il perché.

 

Lui rispose: “La vede la stella a sei punte?”

Ma non la vedeva.

“La stella di David, disse,e indicò sul vetro”

 

Si levò il cappello premendo sul pizzicottato e appoggiò lafronte:

non la vedeva.

Riuscì solo a mettere a fuoco la linea dei liquori

sopra il bancone di legno,

sopra la distesa di sedie rovesciate sui tavoli

con le gambe che si intrecciavano ai grattacieli.

 

L’ebreo raddrizzò la tesa senza togliersi il cilindro

una mancanza di umiltà verso Dio

e se ne andò.

“E’ perché si vuole sempre guardare più lontano”, disse.

 

L’altro restò col borsalino in mano,

sconsolato e questa volta

guardò sul vetro.

“Ma allora lei, fariseo,

perché guardava dentro, così vicino al vetro da rovinare la tesa del suo cilindro?!”

 

E l’ebreo: “Io la stavo solo baciando”.

 

 



Id: 7157 Data: 12/02/2011 14:44:56

*

La Fuga (dalla raccolta: Cortometraggi)

Non è impaziente. Non è come lei.

 

Bisogna sempre essere grati a qualcuno

se per una sera ci si trova al centro di un letto

con il plaid e una gamba scoperta dalla parte del camino

uno da parete, senza legna.

E attendere.

 

Per un attimo

e chissà quant’è un attimo

attenderla,

forse è il tempo in cui il jazz si raffreddi sul comò senzafar rumore,

e senz’altro il tempo in cui lei,

che si è alzata di corsa,

ed  è andata scalza nelcorridoio,

tornerà.

 

Vale la pena dismettere il torpore dalle ciglia

e voltarsi con il profilo dentro il cuscino

che sa di rose della Normandia

per capire come si fugge

per la curiosità di fissare i tendini negli incavi delleginocchia

bruni come rosso Tiziano.

E attendere.

 

Magari attendere e tra i pensieri

una specie di moderno charleston

un pezzo di Parov Stelar, per intendersi.

Pensieri che vivono tra agonia e mistificazione

pensieri, quasi non fossero suoi:

 

Mi congederò

come tutti i giovedì e

farò finta di non attenderla domani alla biblioteca, perfarmi dire

“come sei stato ieri?”

C’è sempre ieri nell’indifferenza

c’è ieri nella farsa

e ieri nel come-se-fosse-niente.

Faccia pure!

Io mi prendo una sigaretta e il tempo da impiegare

per non innamorarmi.

Che male c’è a non innamorarsi.

La mia mano è grande solo per una stupida sigaretta

nel momento in cui porta alle labbra il vizio

e alla testa il piacere.

Se la solitudine è una vanità,

io mi sento distratto ora dalla sua presenza

in casa sua, nel suo letto.

 

Si sono conosciuti quando

le dita strisciando sulle pagine sono finite sulla pelle

o, secondo lui,

dopo un’ elaborazione di dati

per cui le probabilità si sono soltanto attraversate.

 

Lui ha una fronte spaziosa e consenziente

e ha acceso quella stupida sigaretta.

 

Lei ha smesso di correre per il corridoio

fino al telefono lasciato su una mensola,

che ha smesso di ululare perché gli ha detto

con voce da giansenista:

“pronto, amore”.

 

 


Id: 7133 Data: 10/02/2011 16:32:55