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The Entertainers I ’frenetici’ anni ’50 / ’60

Argomento: Musica

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 24/11/2012 12:11:45

I ‘FRENETICI’ ANNI ‘50/’60”
(da Musica e Dischi, ripreso da Super Sound magazine).

In quegli anni, il cinema di Hollywood ancora giovane andava sperimentando nuove alternative per interessare e sbalordire il pubblico sempre crescente. Sulla scia dei grandi successi teatrali di Broadway, di cui ormai si parlava sulle principali testate giornalistiche, le Major cinematografiche andavano riproponendo quelle che erano state le ‘commedie’ che avevano totalizzato la maggiore affluenza di pubblico e, ovviamente, riscosso i maggiori incassi della stagione. Il genere era preferibilmente la ‘commedia’, meglio se con l’aggiunta di musiche e canzoni in voga che potevano allietare il pubblico. Nel giro di qualche anno la ‘commedia musicale’ divenne materiale di largo consumo e al cinema si cominciarono a vedere solo ‘film musicali’. Sì, in passato vi erano già stati esempi clamorosi. Dopo che nel lontano 1927 Al Jolson aveva aperto, per così dire, la stagione del ‘sonoro’ con “Il cantante di Jazz”, dove lui ‘bianco’, appariva tinto di ‘nero’ in una celeberrima parodia dai toni ‘blues’ che lo rese molto famoso, la strada sembrò aperta ad ogni altra esperienza. Si pensi che le sei canzoni contenute nel film fecero il giro del mondo. Era stato quello l’inizio di una nuova corrente cinematografica sotto il segno della musica. Fred Astaire, Ginger Rogers, Bing Crosby, Judy Garland, solo per citarne alcune, erano allora stelle di prima grandezza le più luminose del firmamento cinematografico, e facevano brillare di lustrini e polvere dorata, l’atmosfera musicale del momento, divenendo in breve ‘miti’ del più grande successo commerciale mai conosciuto. Già negli anni ’40 la gente, risvegliatasi dal torpore ‘post war’, prese ad affluire nei teatri, ed accorreva in massa al cinema ogni qual volta si proiettava una pellicola sonora, per vedere e sentire il film sonoro, la musica che l’accompagnava, cantare le canzoni dei suoi beniamini. Nelle sale da ballo dove infuriava la musica sudamericana, si scatenava con le orchestre di Xavier Cugat, Perez Prado, Celia Cruz e tanti altri fino allo sfinimento. Nel frattempo, lo swing, attraversato l’Oceano, portava ‘la voce’ di Frank Sinatra in tutta Europa. Il film musicale che aprì effettivamente il 1950 fu “Un americano a Parigi” diretto da Vincent Minnelli con Gene Kelly, un ballerino-cantante-acrobata che avrebbe fatto sognare le teen-ager di tutto il mondo. Le musiche erano del già famosissimo George Gershwin. Con “Cantando sotto la pioggia”, il mondo ritrovò la gioia di vivere, trasformata in esuberante allegria ed entusiasmo; i problemi che aveva lasciato la guerra erano affrontati dalla frenetica baldanza giovanile con la sicurezza data dal new-deal economico, con la sicurezza di chi è vincente nella vita. Come in “Bulli e Pupe” (1955), in “Pal Joy” (1957) fino allo scontro generazionale di gruppo con “West Side Story” (1961) a completamento di quel panorama straordinario che erano stati gli anni ’50. Ma esaminiamo questi tre momenti e i diversi aspetti della vita americana che in essi vengono proposti. In “Bulli e Pupe”, interpretato dall’allora debuttante Marlon Brando e Frank Sinatra, nonché da quell’attraente icona che è stata Jean Simmons, aveva inizio l’era del ‘ragazzo duro’, già visto in “Fronte del porto”, e che troverà più tardi un maggiore coinvolgimento con James Dean di “Gioventù bruciata”. Quello che venne dopo è tutta un’altra storia. La gioventù americana fu letteralmente scossa dagli accordi convulsi di un ‘nuovo sound’ e dagli scuotimenti di un ragazzo dinoccolato dal ciuffo ribelle e le basette lunghe fino a metà guancia, che indossa stivaletti da cow-boy e porta la chitarra a tracolla, che grida e singhiozza: Elvis Presley. È il nuovo astro nascente che esalta le folle con la sua voce e le vibrazioni della sua chitarra, e scuoterà milioni di giovani in tutto il mondo. Fin da subito nascono i cosiddetti ‘fan-clubs’ che accoglieranno genti di tutte le razze e tutte le età sotto il segno della nuova musica nascente, il Rock’n’roll che riprendeva, con assonanze diverse, il vecchio Boogie-woogie. Inutile dire che tutta la musica ne fu condizionata, stravolta da un terremoto che spazzò via il vecchio e riempì i suoi spazi di elettrificazione e bombardamento percussivo. Era stravolgente, gli appena nati Juke Box quasi scoppiavano per la superproduzione di brani ‘rock’ che ormai si appropriavano della melodia tradizionale, rendendola certamente più ‘grintosa’, ‘spingente’, volutamente ‘trasgressiva ’. Ecco, se c’è una parola che più rende il senso di quello che era diventata la musica in quegli anni potrei definirla ‘liberatoria’, perché disubbidiente e, in un certo senso, provocatoria. Ma allo stesso tempo e per moltissimi aspetti era ‘straordinaria’, basti qui ricordare oltre al grande Elvis alcuni altri nomi: The Platters, Bill Haley, Little Richards, Pat Boone, Chuck Berry, Fats Domino, The Beach Boys, ed altri, tantissimi altri che sarebbe impossibile qui elencare, la cui eco delle loro voci giunge fino ai nostri giorni. Un film su tutti: “Il delinquente del Rock’n’roll” con Elvis Presley, scatena una vera e propria ‘rivoluzione’ in termini, dando il via al più colossale fenomeno sociale mai visto. Una generazione di giovani si riconosce in lui, si veste come lui, si atteggia come lui, porta i capelli come lui, si scatena nelle strade alle sua musica, entra per la prima volta nei bar, fonda i club, dando luogo al più grande fenomeno commerciale e sociale che si fosse mai visto. Beniamini della canzone, e attori del cinema indossano blue-jeans e giubbotti di pelle, si lasciano crescer i capelli, masticano chewing-gum, bevono Coca – cola, mangiano pop-corn, chiamano le loro coetanee ‘pupe’, si atteggiano al volante di auto, di moto di grossa cilindrata, affronta la vita ‘on the road’ su imitazione di Jack Kerouac. Qualcosa di più di una semplice infatuazione, che diede luogo a un fenomeno collettivo che aprì le porte all’alcool e alle droghe che portarono alle nevrosi e alla depressione, ma anche all’esaltazione del macho, del superman ed altro ancora e che raggiunse, in certi momenti vertici impressionanti riversatisi poi sulle generazioni successive. L’ondata di ‘revival’ cui assistiamo oggi, nel processo del divenire storico, si ripresenta più come ‘nostagia’ di quegli anni che come moda a se stante. Sembra più una fuga dalla storia che dovremmo scrivere, ma di cui ci manca la creatività e soprattutto il coraggio. Ma che è anche “un modo per riappropriarsene, uno stratagemma per vincere la consumazione del tempo” (Argan); un voler sottolineare che le stesse cose tornano solo in quanto diverse, nel momento in cui le difficoltà sembrano prevaricare su tutto, che accresce le perplessità sulle linee da seguire e che disorientale nostre scelte, per versarli ai facili travestimenti del consumismo. In fondo il ‘rock’, pur osservato nelle sue differenziazioni, non è mai cessato di esistere, dal fatto che vi si riscontra per via della continuità ininterrotta del suo successo: si pensi al gruppo dei Rolling Stones ‘grandissimi’ che, proprio in questi giorni, celebra i 50 anni della sua formazione. Una serie di film e commedie musicali abbastanza recenti, inoltre, hanno riportato gli anni ‘50/’60 in auge e vale qui la pena di elencarli: “American Graffiti”, “Stardust”, “La febbre del sabato sera”, “Hair” “Grease”, “Godspell”, “Orfeo 9” (unico in Italia), “Jésus Christ Superstar”, che gli autori ci vanno riproponendo come di un ‘tempo’ ormai sospeso nell’aria, osservato nel riflesso del ricordo, pronto ad essere rivalutato da nuove esperienze; quasi lo si volesse riscattare, in un momento di vuoto creativo, per i suoi valori musicali e di costume, precocemente lasciati per la fretta ‘liquida’ di bruciare i tempi. Avrei voluto qui elencare i gruppi ‘rock’ e i tantissimi album che hanno fatto la sua storia, ma poi vi ho rinunciato, in quanto molti sono fin troppo noti, altri sono ormai introvabili se non su You Tube. In fondo, va detto, che mi sono proiettato nel pieno di un ‘revival’ nostalgico di certi anni passati un po’ polverosi, tuttavia ancora scintillanti di musica fortemente creativa che vi invito ad ascoltare e sono certo ne rimarrete affascinati, per accorgervi poi che sono ancora quegli anni... “i frenetici anni ‘50/’60” che tutti noi, fan e no, non potremo mai dimenticare.


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