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Tre brevi racconti sulla mia persona.

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 31/05/2013 07:30:16

'Narrando di me' (tre brevi racconti sulla mia persona)

 

Who’s inside?, (…life is so contemporary).

Ne è passato di tempo dacché mi sono impegnato nel restauro della mia vita e mai mi sono accorto di quelle crepe che dal soffitto scendono lungo la parete che solo per il fatto che stanno lì (dentro lo specchio degli anni), offendono lo sguardo. Anni che hanno visto le sfaldature interne risalire in superficie, cominciare a farsi notare, assieme con le rughe dell’età che avanza, le gote che scendono e trasformano il sorriso in pieghe amare, le grinze profonde attorno agli occhi stanchi di vedere, i solchi profondi sulla fronte che a stento trattengono l’inarrestabile precarietà dei pensieri. E sono graffiti, geroglifici, grafie di scritture che non raccontano ‘solo’ le stagioni, per definizione effimere, ma che altresì illustrano lo ‘spazio’ zodiacale in cui fin da principio sono stato ammesso. Segni evidenziali che affiorano in superficie e che danno forma al meta-linguaggio di un certo disfacimento in corso, che avvelena non già il passato carico di parole, quanto il futuro dei pensieri prossimi a venire.
E dire che sono stati anni di straordinari momenti creativi in cui, forte della convinzione che le cose sarebbero andate decisamente meglio, mi sono abbandonato al piacere edonistico che porta con sé ogni nuova avventura intellettualistica (godereccia), sperimentando le molteplici forme della conoscenza. Ricche, come sono, di suggestioni inusitate e nuovi proponimenti che, in qualche modo, hanno dato forma a nuovi linguaggi imprevedibili, trame di sceneggiature impossibili che, nella ricchezza delle sfumature e delle espressioni che le distinguono, e che sono l’affermazione del ‘timido’ filosofare che mi accompagna. Riferimento necessario per la contemporaneità della vita ‘liquida’ che altresì mi affanna, mentre vago (in quanto scrittore) alla ricerca di nuove forme di narrazione che mi soddisfino, che mi appaghino, desideroso come sono di sperimentare nuove ‘formule’ per raccontarmi e raccontare agli altri le ‘favole’ belle che invento ogni giorno, onde rendere migliore questo mondo astruso in cui mi conduco.
Ecco allora il continuo misurarmi con linguaggi diversi, che in qualche modo concorrono e si intrecciano nelle pur differenti espressioni di pensiero, veicolanti un’univoca formula meditativa, come un possibile ‘mantra’ che mi conduce alla luce della consapevolezza, e mi concede di misurarmi sui significati profondi della mia cosmica esistenza (nel senso che sono spesso con la testa fra le nuvole). È così che le parole assumono significato, restituiscono fermento, vivacità, creatività, si fanno in me motivo di comunicazione, s'aprono al mondo che mi gira intorno nella diversità delle lingue, delle etnie, dei diversi colori della pelle, delle usanze e dei costumi dei popoli che incontro, unicamente per rispondere a una domanda da sempre sollecitata: ‘who’s inside?’, chi c’è in me? Alla quale una sola risposta può essere data, significante e significativa, che amplifica in prospettiva la ‘voce’ del comunicare per uscire da me stesso e aprirsi agli altri, tutti quegli altri che come me albergano in questo strano mondo.

È vero, ho constatato di persona come talvolta la vita, lì dove essa trova accoglienza, è così sincrona da mettere in stretto contatto ogni forma di ‘linguaggio’ seppure estremo, ogni umano ‘genere’ nella diversità, ogni estrapolata ‘fattezza di forme’, ogni possibile ‘qualificazione’ d’argomenti. Tutto ciò che mi permette di interagire con gli 'altri' provenienti da habitat diversi, e offrendomi di conoscere e approfondire nuove culture, tendenze ed espressioni di quella creatività, che dalle lontane origini si spinge a quella contemporanea più avanzata. Un'opportunità di confronto meravigliosa con la quale da sempre cerco di riaffermare come la ‘parola’ sia il ‘motore’ esclusivo di idee e fattore ‘unico’ di coesione sociale, in grado di mettere in moto innovazione artistica, creatività intellettuale, così come di esaltare le diversità, trovare soluzioni inedite a problemi complessi sia pure nascosti nelle pieghe della quotidianità che da sempre cerco di sfuggire o che fin’ora non ho osato indagare. È vero, la ‘vita’ spesso sa cogliere la contemporaneità meglio di quanto i sensi e la mente siano in grado di fare, tempestati come siamo da messaggi veloci, da informazioni sfuggenti, da conversazioni efficaci ma prive di senso, da azioni efficienti ma impersonali, da ritmi che non sono i nostri e che non riusciamo ad afferrare, dentro una quotidianità sfuggevole che non lascia il tempo alla riflessione, e che sembra non appartenerci, pur avvertendo la sensazione di farne parte.

Ma se la contemporaneità si nutre dell’intreccio tra la dimensione intima dell’essere e la collettività umana, ècco che farne parte, allontana da noi assieme alle speranze dismesse, le paure del futuro che ci viene incontro, permettendoci di riacquisire la nostra individualità perduta, la sola davvero capace di comprimere le differenze tra passato e futuro, le divergenze tra i ‘generi’, le disuguaglianze di sesso, l’inizio e la fine di una incertezza che è insieme ragione e speranza del nostro vivere quotidiano. Dacché l’usura del tempo anche se reale, diviene fittizia, come quelle crepe che vedo scendere dal soffitto lungo la parete e che solo per il fatto che stanno lì offendono il mio sguardo e che invece, nell’annullamento dei limiti che le distingue, danno forma al mio/nostro ‘contemporaneo quotidiano’. Un quotidiano dal quale non ci si deve difendere, bensì conciliare, entrare a farne parte, perché frutto dell’esperienza maturata su un altro livello di conoscenza, di quella realtà che altrimenti si rischia di non comprendere perché non ascoltata, di esperienze che non avremmo potuto, o forse voluto vivere, e che, guardandole con distacco, pure continuiamo a voler perseguire.

Un percorso compiuto attraverso le emozioni che da sempre hanno accompagnato i nostri sogni di bambini, i dubbi e gli oblii degli adulti, le favole di tutti noi, ora capaci di rappresentare, ora di sublimare quel piano inclinato che rappresenta la nostra vita, come di una danza immaginifica della natura umana che tutti ci contiene nella sua intimità più profonda. Quand'eccoci accolti in un’unica esperienza ‘de-costruttiva’ che vede ridisegnati i tratti di quell’umanità molteplice che tutti ci coinvolge, in un ‘gioco’ di rimandi, di silenzi e di paure, ma anche di esaltazione e magica follia, in cui rivestire chi davvero abita in ognuno di noi, e che ci fa dire ‘..life is so contemporary’ che per la gioia di vivere quasi ci manca il fiato.

 

È forse questo il segreto d’una possibile eternità, o solo la pulsione di una calda 'imperdonabile' giovinezza?


Late Night, (…mind a parte).

Io di notte vado a spasso coi ricordi, scendo le scale di una villa in stile liberty nel sud degli Stati Uniti, ma quando il mio sguardo incontra il verde del prato le risalgo e ricomincio d’accapo a scenderle per poi risalirle ancora, e questo per un certo numero di volte. Quante? Ve lo saprei dire se le avessi contate. In verità non l’ho fatto. Perché? Non lo so. Non ho modo di contare le cose che faccio per abitudine, e questo vale per i gesti o i movimenti consuetudinari, così come ad esempio di tutte le volte che mi capita di sbattere le palpebre. In realtà non me ne accorgo neppure, così non tengo in considerazione il fatto ch'io lo faccia. Difatti lo faccio e basta. Qualcuno mi dice che non è così, che la nostra mente tiene in conto tutto ciò che facciamo seppure in modo abitudinario e che perciò dovrei ricordare quante volte ho salite e discese quelle maledette scale. È importante? – mi chiedo. In un certo senso sì, perché in quei frangenti di tempo, nella propria vita, così come in tutte le vite degli altri, e con ciò intendo dire nel mondo, sono accadute una infinità di cose che potrebbero interpretarsi in modo diverso se solo ci si ricordasse il perché qualcuno è salito e disceso per le scale di quella villa liberty nel sud degli Stati Uniti, e soprattutto il numero delle volte che l'ha fatto. Per esempio? Magari il mio vicino Mr. Hogan non si sarebbe preso la pallottola in fronte che lo ha ucciso, perché non si sarebbe affacciato sulla porta di casa attratto dal mio continuo andirivieni. O alla povera signora Harlington a New York non sarebbe sfuggito di mano il guinzaglio del suo boxer e per rincorrerlo non sarebbe finita sotto l’auto che proprio in quel momento sopraggiungeva ad alta velocità. A New York? Certamente a Sao Paulo non sarebbe capitato che durante la sfilata per il Carnevale un carro sarebbe caracollato in mezzo alla via addosso alla folla riunita … o a Calcutta il rogo per l’inumazione del santone Honjbaba non sarebbe stato trascinato via dalla corrente e involato verso l’al di là, come tutti hanno potuto vedere. Basta così, la prego, ha detto a Sao Paulo in Brasile, e perché no a Rio de Janeiro, è lì che si tiene il Carnevale. Le rammento che il Carnevale si tiene in tutto il mondo e che un fatto del genere è possibile accada sia a Sidney come a Milano. A Milano, per la sfilata del Carnevale? Mai sentito. Magari è capitato durante un Gay Pride, vai a sapere? Accipicchia, è avvenuto tutto questo nel mentre io salivo e scendevo le scale della villa liberty nel sud degli Stati Uniti? Anche molto di più, per esempio … No, basta così, mi sembra di aver procurato abbastanza catastrofi in giro per il mondo. Fatto è che non ricordo quando ciò possa essere avvenuto, perché non essendo io mai stato nel sud degli Stati Uniti, ospite o quant’altro in una villa in stile liberty e, nemmeno se cerano o no scale da scendere e da salire, come posso essere causa di tali disastri? Se solo ripenso a quel Mr. Hogan ed alla povera Mrs. Harlington mi viene da piangere, anche se.. Anche se? Beh, una pallottola a quell’uomo lì, gliela avrei cacciata in fronte con le mie stesse mani, per avermi venduto un paio di scarpe che mi fanno un male cane. Per quanto accaduto alla signora di New York le sta bene, così impara a impicciarsi dei fatti propri e badare un po’ più al suo cane. Comunque, mentre son lì che scendo e salgo le scale per un infinità di volte, un qualche dubbio a riguardo mi viene, ed è di non sapere se i miei ricordi che pur mi sono cari, sono veri, nel senso di autentici, oppure falsi, nel senso di costruiti, cioè elaborati dalla mia memoria mnemonica sulla base di eventi spaziali inesistenti, di cui sono consapevole o forse inconsapevole tout-court. E se si trattasse, e questo sarebbe il vero dramma, di un film che avrei voluto dirigere/interpretare fin dalla prima infanzia o, magari, una di quelle scuse patetiche, (leggi alibi), che spesso capita di inventare per non ammettere con se stessi l’incapacità, (ovviamente la mia), di scrivere un copione che possa dirsi ‘originale’? Un copione che mi porto dietro fino a notte inoltrata quando, scendendo le scale rammento di aver dimenticato qualcosa, l’orologio forse, per cui risalgo, ma quando sono in cima alle scale, trovo ciò che stavo cercando. Quindi le ridiscendo ma, c’è sempre un ma che incombe, quando sono di nuovo in fondo alle scale, sento lo stimolo di dover andare in bagno, allora le risalgo immediatamente. È lì che guardo l’orologio e mi accorgo d’essere fottutamente in ritardo. Nell’impossibilità di arrivare per tempo alla riunione indetta dal Capo, rinuncio ad andare in bagno, con la speranza di poterci andare durante il break, d’impeto decido di ridiscendere le scale. E se non dovesse indire nessun break? - mi chiedo. È allora che il mio sguardo incontra il verde del prato, mi dico perché non la faccio qui (?) ma, quando sto per liberarmi, ecco che Mr. Hogan si affaccia sulla porta di casa e mi guarda in quel modo seccato.

Allora risalgo le scale in tutta fretta con le braghe calate e ricomincio d’accapo. Salgo le scale di una villa in stile liberty nel sud degli Stati Uniti, poi ne discendo per risalirle ancora, e questo per un certo numero di volte fino a che me la faccio addosso. Ma poiché perseverare non è eroico ma inutile e sbagliato, convengo che forse i miei genitori avrebbero dovuto mandarmi da uno specialista. Dite che sono ancora in tempo?


Still alive (..non proprio certo)

Dentro lo specchio del giorno, il buio. Non mi riconosco. Eppure so di essere qui, presente nel presente. Mi distendo nel letto con una mano sotto il cuscino, come a voler afferrare i pensieri che dovessero essermi sfuggiti. Il tempo si muove seguendo il respiro, dimentico del battito del cuore, che non sento. Deve pur esserci da qualche parte se sono qui che rifletto. Speculazione obbligatoria che apre le porte ad altre realtà e alla molteplicità di un divenire che forse non mi riguarda. O forse sì, mi riguarda eccome, se adesso pondero una possibilità indistinta che agita il mio esistere. Scherzi della solitudine, mi dico. Mentre mi lascio andare nel gorgo senza fondo dell’inquietudine che mi abbranca. Tacita di voci. Silenziosa di suoni che pure mi confondono. Li porto tutti con me. Sono in me. Anche se non ne sono certo, ogni cosa sembra accadere senza una ragione e non faccio che inventariarla come non mia. Di chi allora? È tempo, mi dico, di lasciare spazio all’incoscienza. O meglio, alla coscienza profonda che si nasconde in me, nella parte buia dello specchio, che non permette il mio riconoscimento. Mi domando dove sono stato? Chi ho visto? Cosa ho mangiato? Mi smarrisco nelle risposte che non trovo. Sono dunque stato? Ho visto qualcuno? Ho mangiato? Chi, dove, quando? Comincio a scomparire nel buio della coscienza. Nell’incoscienza vedo solo ombre senza volto, che appaiono e scompaiono, per apparire di nuovo, diverse, obliterate da una qualche conoscenza passata. O forse futura, che deve ancora avvenire e che viene a popolare la mia solitudine, mi dico. L’inquietudine che la consapevolezza della solitudine comporta tra le diverse dimensioni del vivere. Che non è né la dimensione del bene, né quella del male ma che tuttavia m’incute di guardare al di dentro di me. Quell’io sconosciuto a me stesso che adesso s’avvia nella nebbia della notte. L’alba tarda a venire, mentre la luce del giorno non è che un miraggio. Il timore di dover morire nel buio. Un desiderio che non riesco ad esprimere e che reprimo in me ogni qual volta il buio mi sorprende nel cuore della notte. Nella nebbia cammino sul filo dell’acqua per tenere la strada, eppure mi perdo. Per ritrovarla guardo in me, alla mia graduale natura di uomo, all’investitura ricevuta, alla luce che s’accende in fondo alla strada. Un moto improvviso ‘da mente a mente’, mi dico. Senza l’uso di parole, di quei particolari suoni che pure sento e che mi confondono. Un soffio leggero dell’aria, come di una porta che s’apre. Il frusciare dei passi sospesi sul pavimento, come lo scorrere silenzioso e inesorabile del tempo, e poi.. Le mani dell’ombra che mi afferrano per le caviglie, che le stringono, che mi tirano giù dal letto. La reazione avviene in un attimo, ne segue uno scuotimento eccessivo che mi libera, con un moto improvviso. Sento di nuovo il mio cuore. Ha il battito accelerato. Lo sento dentro di me. Tornato da chissà quale occluso emisfero della mente. Apro gli occhi. La luce mi dice ch’è giorno pieno. L’alba è giunta a piedi nudi, senza clamori, senza scalpiccio di piedi, in silenzio. Attorno tutto è rimasto com’era prima: il letto disfatto, la sedia stracolma d’abiti dismessi, i falsi d’autore alle pareti, le pile dei libri già letti e quelli ancora da leggere, la lampada spenta sul comodino, il clangore dei mezzi che arriva dalla finestra, l’irraggiungibile scopo della rinascita interiore. È questo a cui anelo? È strano, eppure quanto accaduto mi permette adesso di guardarmi attorno con occhi nuovi. Il mondo è pur sempre quello ma, sono i miei occhi a vederlo rinnovato, pur nella vacuità del mio esistere. Direi piuttosto come uno stato germinale delle possibili diversità dell’essere che rende plasmabile qualsiasi verità successiva.

Il driiiin della sveglia rende la realtà dura da accettarsi, richiede una maggiore energia e invece sono talmente stanco che finisco per scivolare fuori del letto e mi ritrovo disteso sul pavimento. Adesso sì che rialzarmi mi costerà fatica, mi dico. Però almeno, sono ancora vivo … oh yes, I am still alive!


 

 

 

 

 


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