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al testo di Robert Wasp Pirsig
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“Non mi fido della resistenza della costola, Euriloco, perché la fiancata vibra per cedere al torneo dei remi.” La mano erpice sull’impugnatura usa il fulcro dello scalmo per tirare a sè il mare restio a qualsiasi solco (la marea, per definizione, si muove se viene attratta dalla parola lunatica, o anche se riceve una spinta pari al volume che la segna.) Lui, Euriloco, preso da una mosca inseguita a scarti del capo, improvvisi quanto netti, - quell’attenzione degna di miglior preda -, non aveva altro che reagire ai fastidi. Un poco a memoria e tanto per l’umore: come l’amore… quando l’hai assaggiato. Gustava la prua da polena, Euriloco, e apriva il libeccio come le fregate sanno fare, gonfiate e rosse con la magia dei corteggiatori: in ogni vagabondo si trova una direzione che fa gola. Fanno leva sulle isole come la gialla stagione dei mosconi. Oppure le gocce di sudore. Pieghi la schiena e la rialzi per attrarre a te il vogatore; e questo sembra il bel presente: lo sforzo prende lo spazio tra il ventre e un mondo di carnieri. Chi si apre non vede meglio, perciò anche in terra seguiamo chi è in voga. Tra tanti elementi, Euriloco, arma l’anima un soffio dal mare abbandonato.
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