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al testo di Salvatore Pizzo
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Giorno e notte, sulla Terra, l'ira è un moto che affatica: al momento dato per lo scoppio notte e giorno, finiscono per l'equivalersi nello snervare. Alle volte, quando l'una sembra trionfi sull'altro, in certi periodi all'anno, che ci stai distratto alla finestra e ti mangi le unghia, finisce che implori lo spazio profondo. E come ha da esser buio già che nel giorno ci affoghi d'ira o di noia per quanto è breve ma intenso e lento oppure a scatto e carpiato come un tuffo ed ancora più teso ti fa in viso. Sì che la notte abbia la meglio, speri: non esiste ira, la pace è abisso che non rimpalla altra luce che quella di radiazioni fuggevoli rilascianti sprazzi flebili. Sai che non tedia il buio: ci si sta infungati tra pareti di muffe saprofiti d'ariose romanze al muschio; funghi rifuggenti la solarità del giorno chè ci scaverebbe fossa in eterno e furibondo chiarore diurno. E senza ombre, senza scuri cosa saremmo mai senza quell'oscurità quieta regno dei crimini non detti? Così: è nel muro del frettoloso giorno ben lontano dall'equinozio in pieno solstizio d'inverno che ci farei un bel buco a farne scaturire raggio di sole nero che ne divori alba. |
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