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Allamo

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ALL’AMO

È domenica mattina. Piove. Può allungare il riposo rigirandosi sotto le coperte.
Il lavoro gli offre la tregua settimanale. Per qualche ora non dovrà ascoltare, non dovrà fornire alcuna risposta ragionata. Non dovrà interpretare il sogno ricorrente della signora che nutre un terribile timore degli eventi e, alla guida del volante, si accorge di non saper condurre l’automobile, o della giovane, trasfigurata in maschio, che desidera aprirsi a nuove esperienze.
Lui ha la fama di compìto e scrupoloso professionista, capace di prestare cura e attenzione per i problemi di chi gli si rivolge e di riservare a tutti squisita gentilezza.
Il suo studio si affaccia su una via del centro cittadino. È ben arredato e con quadri di ispirazione puntinista appesi alle pareti color crema, rilassanti come lo è il profumo di vaniglia sprigionato dalle apposite bacchette.
Quando accoglie i pazienti, soprattutto signore e ragazze, le guarda affettuosamente e prolungatamente negli occhi, porge loro una gradevole catena fonica di parole scandite lentamente, mentre tiene le mani discoste e morbidamente appoggiate sul tavolo.
Poi, le fa accomodare sul lettino e le lascia parlare liberamente.
Trasmette un senso di calma e di attenzione esclusiva che induce allo sfogo.

È domenica mattina. Piove. Nel dormiveglia gli è comparsa davanti l’immagine di nonno Piero. Un uomo dall’aspetto assai tranquillo.
Quando era bambino, lo portava al fiume a pescare le trote e gli spiegava i segreti della vita. Innanzi tutto, di come sia necessario costruirsi una corazza per sopravvivere e, facendo riferimento al suo hobby, di come si possano prendere le persone all’amo.
-I pesci non vedono l’insidia dell’esca e si precipitano ad abboccare. Così sono anche gli uomini: non si accorgono degli inganni e per questo è facile approfittare di loro.
Il nonno allora lavorava per i NAS dei carabinieri. Con la sua aria da ometto qualunque, il cappellino all’americana, un giubbetto, uno zainetto e una macchina fotografica da due lire, sostava regolarmente presso la stazione ferroviaria di Como per registrare targhe e andirivieni sospetti.
Forse era stato proprio il nonno a trasmettergli la passione per certi personaggi.
Da ragazzino adorava Zorro e la Primula Rossa. Da studente si era scoperto affascinato dai doppi di alcuni autori, come Didimo Chierico e Totò Merumeni.
Aveva acquisito il gusto di cogliere i difetti umani, sviluppando un odio spontaneo verso tutti gli abusi del potere. In particolare, data la sua propensione per l’ironia, era cresciuto prepotente in lui il desiderio di farsi interprete, come un novello Pasquino, della satira a cui accostare rigurgiti di poesia.
Certo, non avrebbe abbandonato presso qualche gruppo marmoreo il suo manifesto indirizzato alla cittadinanza. Adesso, per fortuna, c’era la rete che poteva arrivare ovunque. Adesso c’erano i post e i blog.
Così si era iscritto a un sito e, sotto lo pseudonimo di Sono Te, lanciava le proprie invettive, condendo con la levità dei versi riflessioni più intime.
All’inizio sembrava che quel Sono Te risultasse un po’ presuntuoso presso i lettori, ma poi, dato che era piuttosto rotto a ogni astuzia del mestiere, la sua capacità di sondare nei recessi di ognuno gli aveva fatto guadagnare completa fiducia e interesse. Erano piovuti i like.
-Sei proprio come me -scriveva una visitatrice- mi trovo in perfetta sintonia con i tuoi voli.
-Bellissime le tue parole nella sera -scriveva un’altra- fanno sì che io speri nell’arrivo certo dell’alba.
-Le tue note sono profonde e intense come l’essenza dei fiori.
C’era anche chi apprezzava la veemenza delle sue posizioni.
-Finalmente qualcuno che con cognizione di causa ed efficacia si scaglia contro il disperante mainstream.
Nessuno sapeva chi si celasse dietro quel Sono Te, ma tutti erano portati ad attribuirgli le più disparate qualità e un’identità che rispecchiava le diverse esigenze.
Gliel’aveva detto nonno Piero che l’arcano soggioga le menti.
E così, mentre dalle 9 alle 17 era lo stimato professionista che analizzava con pacata compostezza le paturnie di giovani destabilizzate e alla ricerca del proprio sé, dalle 21 alle 24 si calava nei panni di un personaggio inventato, indagante, lucido e persuasivo, che satireggiava sul mondo e seminava parole in versi.
E chi aveva bisogno di quel risveglio dell’anima, per non morire definitivamente dentro il chiuso della propria asfissiante esistenza, trovava in quelle letture toniche il periscopio con cui esplorare l’intero giro di un orizzonte.

Stamattina è domenica e piove. Sono Te guarda il numero dei follower indicato accanto alla sua icona che ritrae un torrente in piena.
Digitando, fa scorrere la valanga di messaggi ricevuti e inviati e si sente sommerso.
Con la parola ha potuto costruire l’universo in cui sostenersi come dentro una solida armatura. Con la parola ha potuto convincere tante persone a trovare fiducia in sé stesse, a prendere visione lucida delle cose, a scandagliare le logiche del potere e le tensioni nascoste dell’Io.
Ma stamattina si sente stanco e l’armatura gli pesa. Avrebbe voglia di togliersela, lasciarla in un luogo in cui renderla visibile ai fan e svignarsela. Abbandonare il campo rimanendo inosservato, lontano da occhi indiscreti.
Come un ometto qualunque riportato a sé stesso, alla sua più semplice, intima realtà.
E magari prendere la canna per andare al fiume a pescare.
Le trote.

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