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al testo di Annalisa Scialpi
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Signora Pernice aveva un padre una madre una vecchia zia con denti d’avorio a centocinquant’anni suonati e gestiva pavimenti di marmo tirati a lucido, lasciando che la luce dell’alba solleticasse appena l’arredo di mobili in noce con fiori finti e tiretti sigillati da blocchi di ricevute e concessioni edilizie e testamentarie.
Signora Pernice soppesava ogni parola e non sapeva quello che diceva e tuttavia lo diceva con eleganza inoppugnabile quando le mareee si agitavano oltre le nere cime delle case svettanti e un vento tetro presagiva i capricci dell’ostro;
Signora Pernice andava a messa tutte le domeniche e leggeva il libricino delle orazioni sempre dallo stesso verso e strappava con acredine spazio alla vicina che sorseggiava appena parole, avvolta nel calice rovesciato del suo cappotto di feltro marrone.
Nessun lamento.
O inflessione
Quando il marmo della casa si aprì, e l’inghiottì.
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