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Il bisbiglio dellarte anonima

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Il bisbiglio dell’arte anonima

Anni fa, camminando per Parigi,
in una notte di buio antracite
con una Loira di vino nel cuore
restai a lungo a vegliare
il trionfale anonimato
di Notre-Dame.

Restai seduto insonne ad ascoltare
il brusio pedante degli scalpellini
la caparbietà dei fabbri, il volo
dei vetrai alpinisti, la cecità
degli orefici armonici.
Tutto insisteva nell’aria di maggio
unendosi al grido degli operai
scivolati dai pinnacoli, alla smorfia
dei bestiari impressi nella pioggia.
Invano l’indomani cercai nei testi
una firma posta in calce all’opera,
ma sulle altezze al limite della statica
restava solo l’orma della vetta collettiva.

Da molto tempo l’arte non è più anonima e
il nome campeggia come un sigillo imprescindibile
sui dorsi dei libri impilati, sulle assonometrie
dei palazzi esclusivi, sulle pale d’altare
all’ultimo grido, sulle foto che indugiano
sul cornicione del sonno come
uccelli rapaci di Hitchcock.
L’arte di strada viene pedinata
dai bagarini delle aste, la provocazione
consuma spesso la sua vocazione nell’androne
di un commercialista, il rudere di una casa
tatuata da Banksy diventa presto virale
ed è riassorbita dal palcoscenico.

L’anonimato non potrà tornare, specie oggi
che abbiamo lasciato addormentare la forza
delle correnti ascensionali, specie oggi
che fatichiamo a venerare lo sconosciuto
con archi rampanti sospesi nel vuoto.
L’anonimato non vorrà tornare, ma forse
i profeti della condivisione diventeranno
presto evanescenti se non si lasceranno
varcare da una bifera spoglia,
da una bellezza ritrosa che
nutra -nascosta- il tarassaco
della mancanza.

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