Noi non ci giacciamo, né riposiamo in pace come lassù, nel mondo bello della luce, la gente così stupidamente dice. Noi ci sconfiniamo e ci camminiamo gravidi di silenzi e sogni oscuri. Siamo come bestie o come bambini che giocano allegramente a nascondino qui, tra i lombrichi rosa, sottoterra. Nel buio fitto fitto che ci invade e serra seminiamo umori, il vuoto della bocca, le mani, il vestimento della pelle e gli occhi come bulbi fertili e molli sperando che scoppino in alto le corolle di tanti giovanissimi fiori, quando verrà la primavera. Ah l’aria che li corteggia ed il profumo sparso goccia a goccia: sì, li ricordiamo in qualche punto di noi, in qualche incorruttibile presente. Dal nero, dalle trame delle radici, dai minerali, dalle pietre, dalle fauci del tempo sotterrato partoriamo esistenze parallele nei vuoti dell’ assenza con un’ ancestrale devozione alla macina perfetta della trasformazione, fino a restare col bianco essenziale delle ossa. Però, non siamo stanchi. No. Non siamo stanchi. Il bello della morte è essere vissuti. E noi non siamo più remoti di quelle stelle che rilucono ancora dopo essersi disintegrate in chissà quale remotissima era.
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Franca Alaimo
- 04/11/2016 12:56:00
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Amina, mia cara amica e profonda poeta e lettrice, immaginavo che questa poesia ti sarebbe piaciuta, perché anche tu, come me, canti la parola dei morti e il loro eterno partorirsi nella nostra memoria. E, dunque, grazie davvero. Fiammetta ha lasciato un solo aggettivo come commento, però è uno di quelli da cui si sprigiona un pensiero assai più ampio.Grazie.
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Fiammetta Lucattini
- 04/11/2016 09:39:00
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Densissima.
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amina narimi
- 03/11/2016 19:40:00
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ti leggo Franca come stare nella casa luminosa dei dormienti "sì, lì ricordiamo in qualche punto di noi, in qualche incorruttibile presente" lOrientamento, dal nero del tempo sotterrato fino al bianco, al nord celeste delle nostre ossa, nella nascita incessante della morte di quel mandala che partoriamo eterno tra il mondo del nostro giorno e quello della notte, il " di là primordiale" che contiene il nostro nome, accanto: lunus-ambo che siamo ( parte viva e parte morte, buio e luce, pelle e spirito, apparente e nascosto ) Prometeo ed Adam, che insieme divengono cercatore e cercato, chi guarda e chi è guardato, chi nasce e chi muore, particella ed onda vorrei dire. Così, io credo, quando non ci lasciamo assorbire dai nutrimenti delloblio, "ricordiamo" della Perla per la quale ci siamo mossi verso lEgitto, della nostra fuga, le piaghe, e del ritorno a Oriente, allora Noi, che eravamo due, diveniamo Uno, ognivolta cresciuto insieme al vestito della nostra pelle e i nostri morti.
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Franca Alaimo
- 03/11/2016 18:19:00
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Miei cari amici, ringrazio ciascuno di voi (Loredana,Klara,Nando, Salvatore) per i commenti così profondi ed acuti. Sempre mi meraviglia la pluralità dei punti di vista, a conferma della specificità del linguaggio poetico e del fatto che la sensibilità del lettore me diventa parte integrante. Mi piace la lettura di Klara: in fin dei conti, siamo dei "morenti" tutti nel senso anche più bello della parola, poiché morire vuol dire, come dice il titolo, trasformarsi, e magari lo sapessimo fare spesso, vivendo (sintende). A Loredana dico che mi emoziona la sua emozione. A Nando che sa sempre entrare perfettamente dentro il mio mondo poetico. A Salvatore che ringrazio per il suggerimento e lattenzione, rispondo che il presente che adopero in questo testo non è il tempo delladesso, ma il presente infinito della vita-morte; il presente che è stato passato e che diverrà futuro per ricominciare ogni cosa, di nuovo. Un presente eterno, insomma.
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Loredana Savelli
- 03/11/2016 18:02:00
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Poesia sconvolgente nella sua visionarietà e profondissima umanità. Grazie cara Franca di farti tramite con i nostri morti, noi che siamo nellincertezza della vita, novella "Virgilia" della poesia...
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Salvatore Pizzo
- 03/11/2016 17:52:00
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Che dire, se non che si rimane letteralmente deliziati? Un volo che ci porta, dallessere mescolati allumida e grassa terra, addirittura fin sulle stelle lontane, facendoci risplendere comesse e forse più di esse. Poichè la memoria che ci lustra con amore, sa farci più scintillanti pure di quegli stessi astri anchessi già morti...
Un solo mio piccolissimo vezzo, se me lo consenti e senza offesa alcuna: ho provato a leggere questa tua splendida poesia, cambiando il tempo dei verbi dal presente al futuro. A partire da quando prospetti la primavera al quindicesimo verso. Da lì in poi, letta con un tempo al futuro, mi ha dato ancor più emozione, toccando vette straordinarie. Dunque vorrei provare a sottoportela, per averne un tuo parere in proposito:
"Ah l’aria che li corteggerà ed il profumo sparso goccia a goccia: sì, li ricorderemo in qualche punto di noi, in qualche incorruttibile presente. Dal nero, dalle trame delle radici, dai minerali, dalle pietre, dalle fauci del tempo sotterrato partoriremo esistenze parallele nei vuoti dell’ assenza con un’ ancestrale devozione alla macina perfetta della trasformazione, fino a restare col bianco essenziale delle ossa. Però, non saremo stanchi. No. Non saremo stanchi. Il bello della morte è essere vissuti. E noi non saremo più remoti di quelle stelle che rilucono ancora dopo essersi disintegrate in chissà quale remotissima era."
Ecco, mi piacerebbe sapere cosa pensi in proposito e il motivo per cui hai preferito che fosse il presente a conformare lo svolgimento della tua bellissima poesia. Chiedendoti perdono per la mia invadenza, ti ricordo che non è assolutamente obbligatorio rispondere. Anzi, puoi letteralmente ignorare, se ritieni la mia questione non pertinente... Un caro saluto
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Klara Rubino
- 03/11/2016 10:18:00
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La forza di una poesia sta anche nel poter essere interpretata in modo multiforme. Franca, qui, per me, più che dei morti, parla dei vivi, i vivi assorbono anche lenergia della morte, sono essi stessi lenergia della morte, senza pessimismo però perché pare quasi dirci che sia la vita che morte siano un infinito. Non hai certo bisogno Franca dei miei complimenti circa la tua scrittura! Sei un esempio.
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Nando
- 03/11/2016 06:06:00
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Il poeta non commemora, non celebra coi propri versi scritti alloccasione i riti vuoti dellabitudine, il poeta soffia sulla terra e anima o rianima ciò che giaceva inerme o morto in attesa di vita; il poeta profetizza sulle ossa dei morti, è un veggente che vede nella notte già il segno del mezzogiorno, ha lintelligenza della parola che forma il pensiero e aiuta a pensare il "muto", chi è ancora nellincapacità di "parlare". La bellezza e la grandezza di questa tua è proprio in ciò, ci dice anche la tua bellezza e grandezza poetica; hai preso i morti nel giorno dei morti, hai vinto le facili retoriche di circostanza, hai scavato nei loro letti di terra di legno e di ossa e li hai fatti di nuovo " parlare". E di nuovo hai dato il dono della "parola"(quindi di un nuovo pensiero) ai tuoi lettori.
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