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al testo di Federico Zucchi
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L’ultima sentinella
Un bel po’ dopo mezzanotte sono ancora in strada e cammino nell’acquario dell’infanzia. Dopo le campane, tutto tace, solo il lontano riverbero dei bar e l’indubbia sensazione che la vigilia di Natale mantenga una personale consistenza, una magia che si stende sulla carnagione della notte e avvolge i malati e i sani i bambini addormentati nell’attesa i quarantenni accasciati sul divano che non sanno più riempire una qualche mangiatoia. Giungo a sfiorare le vecchie caserme abbandonate quei corpi debordanti che indossano sottovesti di calcinacci con l’ossequioso contegno delle tarde attrici in sfacelo. Come i vecchi hanno finestre spezzate e cancelli di ringhiere socchiuse. Sono invase dalla vegetazione spontanea e una peluria d’acacia devasta il timpano delle torrette. Mi fermo davanti a un cancello, sulla ruggine scorre ancora il disappunto della Perestrojka. Guardo dentro la visuale della luna e avverto il passo felpato della storia rianimare il tempo, le voci dei soldati sbiascicare il proprio passo di marcia, perdersi in un indistinto notturno. Poi fisso meglio le ombre all’interno e la vedo, a una decina di metri una volpe mi fissa. Non sembra spaventata tantomeno aggressiva, come camminasse su un’acropoli sospesa. Restiamo così, attenti alle mosse dell’altro, fino a mischiare la diversa condensa dei nostri respiri. Poi la notte, lentamente, ricopre entrambi con impronte più lievi. Meravigliose le reclute che la vita arruola. |
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