LaRecherche.it
Scrivi un commento
al testo di Livia Bluma
|
|||||
Io vengo dal mare a vedere queste case rotte e questi atri aperti, città lucenti e plastificate. Ci guardo, noi, nutrite stole di benpensanti puliti, garbati ma devo dire vanesi, oltre la misura che la natura ammette.
A forza di aggirarmi per i deserti ho perso la mia modica linfa: ne raccatto un po’ di rado, quando per caso incontro un volto vero, scoperto, che si mette sotto al riflettore non per narcisismo né per confessione, ma così, per franchezza, perché c’è in giro una solitudine che ammazza, e bisogna un poco scostare la tenda per evitare di finire al forno insieme ai nostri orgogliosi scalpi.
Noi due siamo ancora qui a raccontarci balle, troppo umani per giocarci le nostre riserve e scommettere sul bene di entrambi. No, molto più d’effetto il lamentarsi nel nostro crogiolo d’errori, che ormai hanno l’odore di abitudini rozze e incancellabili che solo a pensare di smantellarle sembra di puntare alla luna.
Ma chi ci pensa, poi, agli astri, noi che va già bene quando inciampiamo in un po’ di autocoscienza - buona, quella. Ma che fatica riconoscere noi stessi (e gli altri poi non ne parliamo), che fatica capire che non siamo sotto a nessun cielo, e che le stelle a cui piangevano gli antichi stanotte, a Bologna, non si vedono neanche: il cielo è sanguigno e sogghigna, lampeggia ogni tanto per il solo gusto di fare paura, ma ormai se n’è andato da un pezzo il tempo in cui tutti, anche i bambini, tremavano davanti al temporale. |
|