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al testo di Amina Narimi
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Attorno alla vertigine l’ascolto, dove la dimora è provvisoria e la sua erranza un abbandono, nello strappo oscuro, luminoso
è la visione umile e improvvisa, tra una luce sfiorata e la penombra di un destino impronunciabile, che chiama la vita nuda: gioia, di una voce che non finisce di venire accesa:
una candela umana, un dono dell’amore, compagna all’ombra dello scialle a sera benedetto dall'esistenza e dal suo peso sulle spalle come nulla. È vero ammutolisco e sciolgo le domande nella cera con le mani più infantili che conosco: dove sei esisti e non c’è nulla, se sorridi nella grazia del riposo, rinnovata tra le infinite madri della luce.
Nel mistero che mi spinge all’infinito tra i larici e nel buio mi fai libera nella nebbia sei la lingua della lupa della collina e l’erba che altri lupi hanno già percorso con i lasciti che marcano : l’esser vivi. Sulle radici dei fossati, da qui, ricominciamo in giravolte la montagna bagnando ancora la coscienza al fiume- e quante volte ancora ci saprà- la stessa- per rifiorire in altra lingua l’anima tesa nell’ascolto sulle piante, con la polpa d’albicocche nella bocca, noi splendiamo tra i chicchi d’uva e i torsoli di mele che continuano a vibrare dalla terra ai fianchi più remoti del giordano:
il succo chiaro delle arance è dentro agli occhi senza età, ed ora se spingo piano sulle palpebre le mani, le voci amate si alzano a colori, nell’erezione della luce che beviamo, puri. |
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