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Nell’erezione della luce

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Attorno alla vertigine l’ascolto,

dove la dimora è provvisoria

e la sua erranza un abbandono,

nello strappo oscuro, luminoso

 

è la visione umile e improvvisa,

tra una luce sfiorata e la penombra

di un destino impronunciabile, che chiama

la vita nuda: gioia, di una  voce

che non finisce di venire accesa:

 

una candela umana, un dono dell’amore,

compagna all’ombra dello scialle a sera

benedetto dall'esistenza e dal suo peso

sulle spalle come nulla. È vero

ammutolisco e sciolgo le domande nella cera

con le mani più infantili che conosco:

dove sei esisti e non c’è nulla, se sorridi

nella grazia del riposo, rinnovata

tra le infinite madri della luce.

 

Nel mistero che mi spinge all’infinito

tra i larici e nel buio mi fai libera

nella nebbia sei la lingua della lupa

della collina e l’erba che altri lupi hanno

già percorso con i lasciti che marcano :

l’esser vivi. Sulle radici dei fossati, da qui,

ricominciamo in giravolte la montagna

bagnando ancora la coscienza al fiume-

e quante volte ancora ci saprà- la stessa-

per rifiorire in altra lingua l’anima

tesa nell’ascolto sulle piante, con la polpa

d’albicocche nella bocca, noi splendiamo

tra i chicchi d’uva e i torsoli di mele

che continuano a vibrare dalla terra

ai fianchi più remoti del giordano:

 

il succo chiaro delle arance è  dentro

agli occhi senza età, ed ora

se spingo piano sulle palpebre le mani,

le voci amate si alzano a colori,

nell’erezione della luce che beviamo,

puri.

 Nando - 11/09/2014 16:15:00 [ leggi altri commenti di Nando » ]

Difficile aggiungere altre parole a quanto già ti è stato scritto; impossibile superare la scrittura di Paolo, il suo non è un semplice commento, ma un brano di critica letteraria da consegnare al futuro.
Difficile, dicevo, aggiungere qualcosa di più, solo mi permetto di evocare le suggestioni che il tuo testo mi provoca: la poesia resta per me irraggiungibile, una bellezza che vedi e insegui ma non raggiungi, nel momento in cui credi di toccarla e "possederla", è già un passo altrove; ma non voglio esserle ingrato e disconoscerne il dono che mi lascia in segno: il desiderio di quell’altrove, di quell’utopia è il suo profumo d’amore, è il continuare a cercarla, pure con ciò si sfiorasse quasi la disperazione degli innamorati, quando avvertono lo smarrimento per il perduto, quando si accorgono del vuoto che quell’assenza ora gli appare.
Non rimproverarmi per non aver detto nulla del tuo testo, o per non aver esercitato il mestiere del critico (tra l’altro sarei peggiore di ogni esercente abusivo di ogni altro genere di commercio o professione), sii clemente, come lo sarebbe la bellezza della tua poesia di fronte ad un cieco o davanti ad un immigrato da un paese lontano.

  Cristina Bizzarri - 11/09/2014 11:50:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

Piccola e immensa la tua poesia Amina. Vede come da una distanza. Da dove? Fin dove? In quale domanda abitiamo, in quale mistero? Il tuo sguardo pieno di una tenerezza traboccante per ogni pur minima cosa esistente, tutto attraversa, tutto oltrepassa. Come una preghiera continua e totale.
Dalla mia piccola cuccia ricevo il tuo sguardo. Ciao Amina!

 Paolo Melandri - 11/09/2014 10:47:00 [ leggi altri commenti di Paolo Melandri » ]

Assaporo con molto gusto, studio con autentica ammirazione, frugo nei più riposti lacerti questa tua nuova fiammante creazione, meraviglioso risultato del tuo ingegno e della tua persona. Un poema (vorticista?) mistico, eracliteo, come i tuoi di già verte sull’Essere, sulla purezza e sulla Grazia dell’invenzione. Il procedere strofico, esultante, sicuro; i frequenti enjambements, la maestria nell’endecasillabo, nel quasi-endecasillabo (con licenza), nel dodecasillabo, nel decasillabo; grande regolarità, fluire ininterrotto d’immagini, esuberanza d’invenzioni delicate e perentorie, forte e piano senza esibizione, ma col gusto divertito di meravigliare, di dischiudere la bellezza, la Grazia... Un procedere semi-raziocinante simile a quello dei "Four Quartets" di Eliot, ma con una voce che non viene dagli intermundia, come la sua, bensì con una voce terrena, poundiana, ma senza l’urgere d’insanati conflitti e di ciclopici doveri morali come in Pound. Qualcosa anche di certi esiti marinettiani. Insomma un lavoro, una "fatica senza fatica", un canto di merlo, una promessa, un annuncio, un tagliare i ponti, un levar l’ancora... Vale. tuo: -Paolo Melandri

 Antonio Ciavolino - 10/09/2014 23:29:00 [ leggi altri commenti di Antonio Ciavolino » ]

Molto piaciuto brano. W. Mi ha impressionato con leggerezza, scorrevolmente, conducendo me lettore docile, al finale indovinato, che spinge alla rilettura.
Ho apprezzato molto i rimandi costanti alla natura semplice, i larici, la montagna da rinascere, i lupi e la loro erba marcata. Nella seconda parte, che ho prediletto, la confidenza alla trattazione s’intensifica e le immagini evocano maggiormente, alla mia lettura, carezzandomi con una tenue patina sensuale che la rende di più seducente.

Amatissima poetessa, lode, lode, lode.

 Lorenzo Mullon - 10/09/2014 20:31:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

non si può che sciogliere le domande nella cera
e apparirà la vita che non si pone interrogativi
ma fonde

 Sara Cristofori - 10/09/2014 19:39:00 [ leggi altri commenti di Sara Cristofori » ]

questa per me è Poesia...

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