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Lettera a un giornalista

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Caro giornalista,

ti leggo da diverso tempo, e ora ti scrivo un commento. Per una volta invertiamo i ruoli, in un gioco delle parti magari utile a entrambi.

Cominciasti questo tuo lavoro di professionista delle parole con l'entusiasmo della giovinezza e la freschezza degli ideali. Si vedeva che avevi la vocazione. Ma con lo scorrere degli anni la tua visione delle cose è cambiata gradualmente, senza rendertene conto probabilmente. In principio i tuoi articoli erano fondati sulla verità data dai fatti, poi sei passato alla verità fatta di opinioni, per finire alla verità stabilita dalla parole. Ma non dovrebbero essere le parole al servizio della verità?

La questione è tutta qua: la verità. C'è chi la cerca e chi la cela, chi la difende e chi la combatte, chi la modifica e chi la mummifica, chi la sfugge e chi si fa trovare da essa. C'è chi crede che il volto della verità sia uno, chi nessuno, chi centomila. Io credo che la verità sia essenzialmente libertà, e che con essa prima o poi, volenti o nolenti, bisogna fare i conti.

"Che cos'è la verità?" disse Ponzio Pilato all'accusato prima di consegnarlo in mano ai carnefici, pur non riconoscendogli colpa alcuna, arrendendosi così alle parole d'odio e di menzogna degli accusatori. Era l'ora della tenebra. E quest'oscurità ritorna ogni volta che le parole serve della falsità uccidono la verità, per interesse o superbia o viltà. Ma anche se essa viene rifiutata e perseguitata, crocifissa e sepolta, prima o poi risorge e rifulge.

Questa mia non è l'accusa di un nemico, ma il commento d'un amico, con l'intento di farti riflettere!

 

Un tuo lettore

che ama la verità

e che spera nella verità,

poiché ha fede nella Verità.

 

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