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al testo di Pietro Menditto
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Il cicaleccio su Atlantide dura ancora e tutte queste porcherie sotto il carro dell’ignoto. Chi stira così bene i piccioni?
La leggenda si liscia la barba unta dai nostri polpastrelli bruciati dallo sfogliare le pagine della grommosa rivelazione. Allo scoccare della mezzanotte ha gonfiato i palloncini delle anime e non le resta che attendere l’afflosciamento nelle ventiquattro ore. Intanto inganna l’attesa leggendo il futuro nei fondi degli autodafé.
Anche oggi il big bang avrà le sue proiezioni infinitesimali negli infiniti orgasmi silenziati nelle cieche viscere planetarie.
Il vecchio impazzito sulla teologia grida la sua apostasia chiamando impronte quello che altri definisce disegno.
Da qui sopra la città è perfetta nel suo calcolato disordine; sabbia un tempo bagnata colata da una mano accidiosa a levare un’umida babele poco lontano da una logorata battigia.
Tutte queste porcherie e solo per oltraggiare senza saperlo la consegna del tempo carceriere che lascia fare perché sembra non essere più d’accordo col datore delle ore.
La donna discinta che esce sul balcone all’ultimo piano apparentemente per stendere panni ma con la speranza di essere guardata sta chiedendo dei massimi sistemi e allo stesso modo l’allarme che da un’ora non smette di singhiozzare, l’abbaiare ininterrotto di un cane disturbato dal divenire e quelli che davanti ai bar fanno la sentinella alla scempiata inedia dell’ombra loro desertica.
La radio gracchia che Elena non è stata ancora liberata. Scoppia di salute la guerra e pure la lonza della dialettica. Faville del fuoco su cui siamo seduti vengono scambiate in cielo per segni di un’imminente salvezza e l’ultimo filosofo (o l’ultimo dei filosofi) dalla sua macie e senza più naso appollaiato sulle comode spalle di Platone e di Tommaso alla fine di una anoressente scepsi pontifica che vista dall’alto non da così vicino la vicenda del lupo e dell’agnello è buona anche per l’ovino. Visto che funziona in quel certo modo la cosa deve essere necessariamente ben fatta.
Ogni volta che prendiamo una sigaretta agitiamo un po’ il pacchetto, contiamo quelle che restano, per regolarci. Non possiamo fare lo stesso la mattina quando ci alziamo coi giorni, coi giri che ci restano ancora da percorrere intorno all’asse del mondo mai pago, mai in calore, ebbro di un qualsiasi amore per spiantarsi dalla sua fossa senza radici e muovere qualche passo con noi, per riscaldarci, per fumarne una in compagnia. |
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