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Il salto

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 07/05/2024 20:21:36

IL SALTO

Da dieci anni non passo l’estate in Sicilia e non ascolto i ripetuti racconti dei pescatori, amici del nonno, quelli che uscivano con le barchette calafatate per gettare le reti di notte. I pescatori mi trasmettevano il fatalismo che portavano dentro, mi facevano pensare al naufragio della Provvidenza col suo carico di lupini come avevo letto a scuola.
Da dieci anni contrappongo all’aria ferma di quelle estati gli scali a catena di voli low cost diretti in luoghi disparati, angoli paradisiaci e anche infernali del pianeta.
Per necessità della mia azienda, dopo dieci anni e in questo mese di primavera, devo tornare nell’isola delle mie estati.
Non mi sento Ulisse: il mio ruolo professionale supera naturaliter ogni possibile richiamo di odissea, sopravanzando la precedente età preparatoria alla vita, la soggezione al mondo parentale.
La partenza è da Linate alle otto del mattino. Il mio compagno di viaggio si chiama Anselmo. È simpatico ed esperto. Nel definirlo, si potrebbe utilizzare proprio il termine prode per la sua esistenza improntata alle sfide.
Ha ideato una strumentazione ingegnosa, concepita e costruita in legno, che porteremo con noi dentro una valigia blu da imbarco. Serve per misurare con precisione millimetrica lo spazio a ridosso delle paratie di due navi militari dove saranno collocati i disidratatori e il compressore. Mi piace questo far precedere un lavoro di tipo artigianale alla messa in opera tecnologica: risveglia una sorta di tenerezza verso quella manualità più semplice di cui non si smette di percepire l’utilità.
Il volo dura circa un’ora e trenta.
Anselmo ha chiesto alle hostess un posto comodo per non rimanere rannicchiato con i suoi cento novantacinque centimetri di altezza accanto al finestrino, cioè nella posizione fetale in cui l’ho visto inizialmente.
Dall’aeroporto di Catania prendiamo a noleggio una Seat che, prima della consegna, viene sottoposta a un numero imprecisato di scatti e controlli come se fosse un prezioso vaso di porcellana cinese. Muniti finalmente di un mezzo, percorriamo un tratto costiero in direzione Sud. Lascio guidare Anselmo: ho voglia di sbrigliare i pensieri, di lanciarli altrove.
Augusta ha un aspetto leggermente desolato anche se è un centro piuttosto grande, collocato su un’isola ricavata dal taglio di un istmo. C’è un porto che aggetta verso lo Ionio ed è lì che ci attende l’equipaggio delle due navi, Cassiopea e Cigala, per le quali serve il nostro progetto.
L’accoglienza a bordo è amichevole, la parlata inconfondibile.
Il capitano di vascello, in uniforme blu come la nostra valigia, ha un fare signorile come i sottufficiali che ci attorniano. Faccio alcune domande per sciogliere il ghiaccio e allentare eventuali tensioni:
-Avete in programma molti lavori di ammodernamento?-
Il capitano risponde con tono calmo e deciso che trasmette una consapevolezza sollecita:
-Stiamo revisionando l’intera nave: abbiamo già sostituito i motori, i sistemi d’aria e adesso dobbiamo agire sui supporti vitali. L'umidità è dannosa per i motori e vogliamo installare al più presto il vostro disidratatore.
-Sempre che ci stia!-dico io con un mezzo sorriso per stemperare.
Il Capitano sorride di rimando.
Veniamo accompagnati in sala macchine scendendo scale a pioli strettissime.
Ci sono tre o quattro operai zelanti con le tute sporche di olio che ci guidano e Anselmo, il prode, estrae dalla valigia la base di legno, punto fisso di riferimento, e la squadra con la bolla per misurare l’inclinazione della paratia. È un’operazione piuttosto disagevole che richiede spostamenti in spazi risicati tra tutta la strumentazione di bordo. Anselmo, nonostante l'altezza e l'età, ha un'agilità invidiabile nell'infilarsi tra le tubature e le apparecchiature sporche. Naturalmente succede che i nostri pantaloni, oltre alle mani e alla faccia, si impregnano di olio. Io non ho il cambio ma i miei pantaloni sono scuri, quelli di Anselmo sono chiari ma lui, fortunatamente, si è portato il cambio da casa.
Quando risaliamo, il capitano Peluso chiede a un marinaio:
-Possono utilizzare il bagno?
E quello: -Nel bagno non c’è il sapone. Potete lavarvi alla canna dell’acqua qui fuori: c’è il detersivo per piatti.
Questo modo familiare e alla buona solleva il morale. Si ha bisogno della semplicità che mette al riparo dalle ansie e rimanda all’ infanzia che adesso percepisco filtrata dalla maturità del ricordo.
Se riusciamo a concludere in serata, domani un salto ad Aci Trezza per rivedere le reti dei pescatori non me lo toglie nessuno.
Sedere al PC per disegnare, con i dati raccolti, la sagoma del compressore e del disidratatore che dovranno incastrarsi perfettamente nello spazio visionato, a ridosso delle paratie navali, è un esercizio richiestomi dal mestiere che pratico, una cosa necessaria ma di relativa soddisfazione. Un prodotto come tanti altri della stessa serie.
Ma rivedere i luoghi dell’infanzia significa rivivere i segni che ti porti dentro, di cui non puoi liberarti. E per i quali provi, anche se non vuoi, una infinita commozione.


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