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MIGRANTS - LA NAVE DI TESEO, etc. #Atunispoetry

di Franca Colozzo
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Pubblicato il 08/11/2022 23:51:41

 

https://atunispoetry.com/2022/11/08/dr-arch-franca-colozzo-italy-2/

 

 

 

    MIGRANTI
 
Sale dal mare un sospiro profondo…
Non di vento né cigolio d’onde.
E’ il respiro di tanti migranti,
gli uni sugli altri ammassati,
reietti al loro destino abbandonati.
 
Un bimbo piange sotto il firmamento
che fa da coltre all’umana miseria.
L’acre odore di vapori esalati
l’aria tutt’attorno ammorba.
 
Contro la morte una donna,
pur stanca di soffrire,
invano lotta.
L’aspetta il mare
nell’abbraccio finale,
sepolcro senza nome.
L’anonima creatura
a nulla anela
nemmeno a sepoltura.
Un tuffo e via
tra l’indifferenza di chi
abbarbicato resta alla vita,
come foglia avvizzita
ad esile fuscello.
 
La barca solca la distesa scura
verso un lume lontano,
in cerca d’un approdo sicuro.
Ondeggiando, s’accosta a riva,
confidando in una mano amica,
un mantello, un riparo
e non un muro.
Sale dal mare un sospiro profondo…
 
 
MIGRANTS
 
A deep sigh from the sea rises:
no wind or waves…
It is the breath of many migrants,
one on the other crowded,
by their destiny rejected.
 
Under the firmament, a child cries
What is the cause of human misery?
The odor of steam exhales
the air all around.
 
Against death in vain
a woman fights, tired of suffering.
The sea is waiting for her
in the final embrace,
unnamed sepulcher.
The anonymous creature
nothing else yearns for,
not even the burial ground.
A dive and away
between the indifference of those
are stuck to live, like a leaf
to its weak branch.
 
The boat in the darkness sails
towards a faraway light,
looking for a safe harbor.
Oscillating, it arrives on the shore,
waiting for a friendly hand,
a cloak, a shelter
and not a wall.
A deep sigh from the sea rises…
 
 ***
 
LA NAVE DI TESEO
 
Innamorati persi, a piedi nudi,
andiamo verso sogni lontani.
Vele bianche all’orizzonte aspetta Egeo,
ma vele nere dispiegate al vento,
la nave di Teseo, dimentico,
conduce verso i patri lidi.
 
“Vele bianche issa al vento
se a Creta, figlio mio,
il Minotauro avrai ucciso!”.
“Ahimé, d’Egeo obliato ho l’accorato appello
e la mia nave veleggia in balia di procelle”.
 
Nel Mare Egeo, o padre,
da tanto dolore afflitto
credendomi morto,
dall’alta rupe ti gettasti
e ad esso il nome tuo lasciasti.”
 
   
  THESEUS’ SHIP
 
Lost in love, barefoot lovers
We are going to join distant dreams.
White sails on the horizon Aegean king awaits,
But suddenly black sails spread out in the wind,
the ship of forgetful Theseus,
to the shores of the homeland leads.
 
“Raise white sails if in Crete
the Minotaur you will have killed!”.
“Alas, I have forgotten my father’s heartfelt prayers
and my ship is now sailing at the mercy of the gales!
 
Into the Aegean Sea, dear father,
thinking of me dead,
afflicted by so much pain,
from the high cliff 
you threw yourself
leaving your name to it.”
 
 
 ***
 
 
Ashraf Fayadh is my name
 
Ashraf Fayadh is my name.
I appeal to God’s judgment
not to you, unfaithful servants,
that for a barrel of oil
your soul you have sold to the devil.
 
In front of the judgment of God
all of you will appear naked,
unarmed and without jewels,
without your mortal remains,
you arrogant masters.
 
Ashraf Fayadh is my name.
Goes back to my memory
to Magna and Felix Arabia
to their caravan routes
among sand dunes fragrant with spices,
now scattered of black gold in wells.
 
In the name of religion,
I was condemned without reason
only to be a poet
whose voice rose strong
against new slavery and death.
 
Ashraf Fayadh is my name.
My song, Freedom
flies on invisible wings
to shake the blind minds
of the world’s most powerful men
slaves of the cruelty of rich ones.
 
In front of the judgment of God,
cheered by the choral embrace
of free men moved with compassion,
my soul will fly over the evil darkness
without material limitations
Ashraf Fayadh is my name.
 
 
 
Ashraf Fayadh è il mio nome
 
Ashraf Fayadh è il mio nome.
Mi rivolgo al tribunale di Dio,
non a voi infedeli servitori,
che per un barile di petrolio
vendeste l’anima al demonio.
 
Al tribunale di Dio
vi presenterete nudi,
senz’armi e orpelli
senza le spoglie mortali
di protervi padroni.
 
Ashraf Fayadh è il mio nome.
Percorre la memoria mia
di Felix e Magna Arabia
le vie carovaniere tra sabbiose
dune odorose di spezie,
or sparse d’oro nero in pozze.
 
In nome della religione,
condannato fui senza ragione
soltanto per essere un vate,
la cui voce s’alzò forte
contro nuova schiavitù e morte.
 
Ashraf Fayadh è il mio nome.
Del mio canto la Libertà
vola su invisibili ali
per scuotere le menti
dei potenti orbi e schiavi
d’arricchiti truci e ignavi.
 
Al tribunale di Dio l’anima mia,
rincuorata dal corale abbraccio
d’uomini liberi mossi a pietà,
sugli abissi si libra in alto
senza materico intralcio.
Ashraf Fayadh è il mio nome.
 
 
***
 
    Arab Spring
 
Belated Spring flies away
from Mashreq to Maghreb to Libya,
jasmine garlands it carries on its breast,
the fiery desert breath.
 
Arab Spring denied
to the freedom suppressed,
to the women have it cherished,
to the democracy repressed.
 
Spring aloud declaimed
by fake improvised prophets,
by the belly of terror generated
to overthrow former dictators.
 
The desert arid wind
covers with sand the Libyan dead
and breathes on bloody flags,
injured by opposite tribes.
 
The expert helmsman navigates,
on a rippled cobalt sea,
uncertain the prow sails,
hardly riding on the waves.
 
Lampedusa, my beloved island,
life anchor in the storms,
lighthouse in the darkness,
safe harbor you give to exiles.
 
Deserted ignored Spring
by blind cruelty distress,
of proud Syria her blood,
for revenge, God calls aloud.
 
 
 
    Primavera araba
 
Primavera tardiva vola via
dal Mashreq al Maghreb alla Libia,
di gelsomini reca in seno un serto
l’alito infuocato del deserto.
 
Primavera Araba negata
all’idea di libertà repressa,
alla donna che l’aveva cullata,
alla democrazia soppressa.
 
Primavera a voce declamata
da falsi libertari improvvisati,
dal ventre del terrore vomitati
a rovesciar tiranni meno ingrati.
 
L’arido vento caldo del deserto
copre di sabbia i morti di Libia
e alita su bandiere insanguinate
da opposte fazioni bersagliate.
 
Naviga il nocchier esperto,
su lastre increspate di cobalto,
procede sobbalzando la prua incerta,
cavalcando a fatica l’onda erta.
 
Lampedusa, isola amica,
nelle tempeste àncora di vita,
faro di luce dopo stenti e fame,
doni al naufrago conforto e pane.
 
Primavera esule e negletta
da cieca tirannia ch’ora langue,
della fiera Siria il suo sangue
grida a te libertà e vendetta.
 
 
 
 
 
 
 

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