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A scuola dalla Storia

di Federico Zucchi
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Pubblicato il 02/11/2016 20:09:56

A scuola dalla Storia

Come ogni giorno
la Storia entra in classe
gli allievi si alzano in piedi,
si inizia la conta, si annotano
assenti, si annunciano nuovi argomenti.
Poi la Storia comincia a svelare
come inizia una guerra partendo
da un'oscura pertosse, da due linee
tracciate a casaccio da un generale.
Si susseguono cifre, dettagli, si passa
al setaccio l’emporio dei nomi, si cerca
il ponte che unisce la miccia esplosiva
al fuoco diverso delle stagioni.

Non vola una mosca, tutti prendono appunti,
in religioso silenzio si attende lo squarcio
che renda evidente il vincolo impuro
che segna da sempre il petto dell’uomo.
Si susseguono immagini di apprendisti
stregoni truccati da profeti indolenti,
i corpi rimasti sul campo a morire
in un palmo gelato di neve amaranto.
La morte strega lo schermo,
impone il suo punto di vista
percuote i discenti sgomenti
fino a sedarli di buone intenzioni.

La Storia valuta tutto, l’importanza
di un paio di baffi su un volto incolore,
le variabili cieche che impongono ai corpi
divise aderenti e gonfiano il battito
di soldati disposti a baciare la morte
con lingue impastate di latte materno.

La Storia si concentra con puntiglio
sulle possibili cause, sul contesto
che segue una crisi economica,
dispone i suoi molti fattori
e costruisce disegni imperfetti
dove si specchia la vita interiore.

Non si esime la Storia di parlare del pianto
di citare l’ombra pluviometrica
cresciuta su un volto
restato incapace
di lacrime umane,
perché ha smarrito il testo integrale
la chiave di volta del proprio nome.

La Storia insegna per due semestri
assegna i suoi libri, indice gli esami.
E ogni anno ricomincia daccapo
con scolari uguali e diversi: di nuovo
le guerre del Peloponneso, Anzio e
Bisanzio, fino ai boati assordanti ad Aleppo.
Ogni anno un alunno arringa la classe
rombando stentoreo: dal nostro passato
possiamo imparare a salvare
la linfa di un mondo migliore.

Lontano dalla Storia, quasi fuori dal suo sguardo,
nell’ultima fila di banchi, siedono gli studenti fuoricorso.
Non alzano mai la mano, non prendono appunti,
hanno barbe pietose e occhiaie dove si frange
sorella amnesia. Sembrano assenti, ma osservano ancora
il lento fluire del tempo, la sfilata continua di feretri ignoti
i nomi neri sulle lapidi bianche, le bandiere che
fluttuano fino a strapparsi, le ragioni dei vinti
e dei vincitori, il potere che passa il rosso
rastrello e fissa le date della memoria.
Se un giorno uno di loro
si alzasse in piedi e proferisse parola
se un giorno il silenzio delle comparse
si sollevasse al centro dell’aula

allora forse
un altro sentiero
potrebbe iniziare,
destando una rotta non ancora usurata
inadatta agli eserciti in schiera
al volo radente dei droni echeggianti,
ma segnata dal canto insorgente
di una pattuglia di angeli idioti.

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