Il testo sarà conosciuto anche per il capolavoro cinematografico di Ermanno Olmi.
L’autore, Joseph Roth, austriaco d’origine ebraica della grande stagione letteraria di Werfel, Musil ecc, ed è testimone diretto dello sgretolamento dell’impero Austro-Ungarico: soldato durante la prima guerra mondiale, è fatto prigioniero dai russi.
Dalle conseguenti derive umane e sociali del crollo trarrà i suoi più celebri: La marcia Radetzky e La Cripta dei Cappuccini.
Roth, in questo volumetto di nemmeno settanta pagine, ambientato a Parigi, dove nel 39 morirà come rifugiato dopo l’annessione hitleriana dell’Austria, da una prova alta di come si possa scrivere, anche di temi gravi con leggerezza poetica.
É la breve storia (amaramente autobiografica, perché Roth morirà appena quarantenne per etilismo) di Andreas, un clochard alcolizzato che vive sotto i ponti.
A lui il fato consentirà l’opportunità di cambiare sorte, con gruzzolo di denaro inverosimilmente ricevuto in prestito. Sprecherà invece ogni occasione, lasciandosi trascinare dall’ignavia, prima della resa dei conti finale.
Non temete, il racconto non è triste, e si potrebbe definire il tragitto di un individuo affrancato alla fine dalla Grazia. Quella laica.
L’icipit ed il finale sono seducenti.
Anche tutto il testo veleggia rapido, scorrevolissimo, e vi spingerà, come raramente capita chiusa l’ultima pagina, a proseguire la conoscenza di questo rilevante autore del novecento.
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