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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Del piacere di leggere - frammento

Argomento: Storia

Saggio di Marcel Proust (Biografia)

Proposta di Redazione LaRecherche.it

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Pubblicato il 17/12/2007

...Una tragedia di Racine, un volume di memorie di Saint-Simon, sono una di quelle cose belle che non si fanno più. Il linguaggio nel quale sono state scolpite da grandi artisti, con quella libertà che ne fa risplendere la dolcezza e risaltare la forza originaria, commuove come la vista di certi marmi, oggi non più in voga, che adoperavano gli operai di una volta. Sicuramente in quel certo edificio la pietra ha conservato fedelmente il pensiero dello scultore, ma anche, grazie allo scultore, quella pietra, di un genere oggi sconosciuto, ci è stata conservata, rivestita di tutti i colori che egli ha saputo tirar fuori, far apparire, armonizzare. Ciò che ci piace, nei versi di Racine, è proprio la sintassi della Francia del XVII secolo, con i suoi moduli e la sua logica scomparsi. Sono le forme stesse di quella sintassi, messe a nudo, rispettate, abbellite dalle sue forbici sicure e delicate, che ci emozionano nelle espressioni familiari fino alla singolarità e all’ audacia e di cui vediamo scorrere, nei brani più soavi e teneri, il disegno deciso con rapido tratto o tornare indietro con belle linee spezzate. Come in una città antica e rimasta intatta, nell’ opera di Racine visitiamo forme antiche prese direttamente dalla vita del passato. Davanti ad esse proviamo la stessa emozione che davanti alle forme architettoniche anch’ esse scomparse, che non possiamo più ammirare se non nei rari e magnifici esemplari che ci ha lasciato il passato che le ha costruite, come le antiche cinte murarie, i bastioni e le torri, i battisteri delle chiese• come vicino al chiostro o all’ ossario, il piccolo cimitero che, al sole, dimentica tra le farfalle e i fiori la Fontana funebre e la Lanterna dei morti.
Inoltre, non sono solo le frasi a disegnare per i nostri occhi le forme dell’ anima antica.
Tra le frasi - e penso a quei libri antichi che venivano recitati - nell’intervallo che le separa, riposa ancora oggi, come in un ipogeo inviolato, un silenzio assai spesso secolare. A volte, nel Vangelo di San Luca, di fronte ai due punti che l’interrompono prima di quei brani quasi in forma di cantico di cui è costellato, ho sentito il silenzio del fedele che smetteva di leggere a voce alta per intonare i versetti successivi come un salmo che gli ricordava quelli più antichi della Bibbia. Quel silenzio riempiva ancora la pausa della frase che, essendosi scissa per recintarlo, ne aveva conservato la forma• e più di una volta, mentre leggevo, mi ha portato il profumo di una rosa che la brezza, entrando dalla finestra aperta, aveva diffuso nella sala dell’ Assemblea e che non era svanito in diciassette secoli.
Quante volte nella Divina Commedia, in Shakespeare, ho avuto l’impressione di avere davanti a me, inserito nel presente, attuale, un po’ di passato, quell’impressione di sogno che si prova a Venezia nella Piazzetta, davanti alle due colonne di granito grigio e rosa che recano sui capitelli greci l’una il Leone di San Marco e 1’altra San Teodoro che schiaccia il coccodrillo - belle straniere venute da Oriente su quel mare che guardano da lontano e che viene a morire ai loro piedi e che, tutte e due, senza capire ciò che si dice intorno in una lingua che non è quella del loro paese, su quella piazza pubblica in cui brilla ancora il loro sorriso distratto, continuano a prolungare in mezzo a noi i loro giorni del XII secolo inserendoli nell’ oggi. Sì, in piena piazza pubblica, nel bel mezzo dell’oggi di cui in quel luogo interrompe l’impero, un po’ del XII secolo, del XII secolo da cosÌ lunga data fuggito, si innalza in un doppio slancio leggero di granito rosa.
Tutt’intorno i giorni attuali, i giorni che viviamo, circolano, si spingono chiassosi intorno alle colonne, ma poi lì si fermano bruscamente, fuggono come api scacciate; perché ’non sono nel presente, alte e sottili enclaves del passato, ma in un tempo diverso nel quale non è permesso al presente di penetrare. Intorno alle colonne rosa slanciate verso i larghi capitelli, i giorni attuali si affrettano e mormorano. Ma, interponendosi tra loro, li respingono e mantengono con tutto il loro fine spessore il posto inviolabile del Passato: del Passato sorto familiarmente in mezzo al presente, con quel colore un po’ irreale delle cose che una sorta di illusione ci fa vedere a pochi passi ma che in realtà sono a molti secoli di distanza; rivolto con tutto il suo peso un po’ troppo direttamente allo spirito, esaltato dall’ apparizione del fantasma di un tempo sepolto e tuttavia là, in mezzo a noi, vicino, a contatto di gomito, tangibile, immobile, al sole.

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