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Raccolta di testi in prosa di Lilith50
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

L’ombra e la follia

Cosa saremmo in grado di fare se fosse un raggio di oscurità ad illuminarci?

 

La verità è che l’oscurità ci mina dall’interno. È come un cancro. Non lo sai fino a quando non si manifesta in superficie, in qualche modo. A volte, quando viene fuori, è ormai troppo tardi.

 

Forse anche l’amore è un cancro.

                                                                         *****

 

- Dei miei mai compiuti amori…

dei miei mai compiuti amor… mai… mai… miei…

 

Lo ripeteva ogni volta lungo la strada, mentre ammazzava il tempo avanti e indietro, per la via principale.

Non aveva un orario definito, potevi inciamparci al mattino presto ma, in genere, preferiva la tarda sera. Aveva il passo un po’ dinoccolato e quando arrivava in piazza la gente lo indicava come se fosse arrivata la maggiore attrazione del lunapark.  

Nelle sere d’estate c’era sempre qualcuno al paese che non sapeva chi fosse quel tipo molto stravagante che andava in giro vestito da pistolero del farwest.

 

Enrico lo riconoscevi dal cappello scuro da cowboy e dai lunghi capelli raccolti in una coda. In molti giuravano di avergli visto degli speroni agli stivali. Di sicuro il suo impermeabile non passava inosservato ed anche nelle sere più afose lui non mostrava la benché minima sofferenza ad un capo che, sicuramente, gli si appiccicava addosso.

Chi lo conosceva da parecchio diceva di lui che un tempo fosse stato persino bello e, a guardarlo bene, doveva esserci del vero in questo. Qualcuno ricordava che avesse vissuto a Roma per un periodo. Sicuramente, per motivi di studio, la famiglia aveva favorito la sua iscrizione in una prestigiosa Università della capitale ma poi, subentrando altri tipi di problemi, il padre aveva preferito allontanarlo per un po’.

La malattia lo aveva reso, ormai, osceno nei tratti del volto, ma nessuno sapeva quale fosse la sua malattia.

 

- T’hai cangiat’‘a capa stasera, Enri’? - lo sbeffeggiava qualcuno, e lui: - Scusa un attimo, ho il cell che suona, … pronto, Enrico sono! EH! … non sento… ahahahah! Che hai detto, maledetto? C’ho ‘na tacca, …nu me fa’ ‘ncazza'! … Nun te sentooo…aho, è matto questo!

Spegneva il telefonino, o meglio il pacchetto di Merit blu che spacciava per iPhone davanti a tutti e proseguiva senza dar seguito agli sberleffi che gli giungevano dalle sponde della strada.

 

- Eeeh, nun facitelo arraggiare che vi spara a tutti, ahahahah! -, gridava qualcuno dalle gradinate del Municipio.

 

Ricordo una sera, tornavo a casa da sola, me lo ritrovai davanti svoltando l’angolo. Spesso alcuni randagi del paese lo seguivano.

Ebbi un sussulto.

Forse sbiancai, mentre una lunga fila di formiche sembrò percorrermi, in quell’istante, la colonna vertebrale.

Lui avvertì il mio spavento:

- Signora bella di Milano buonasera!

Mi sembra che abbia visto un fantasma!

Sarò pazzo ma non pericoloso, quello no!

 

Sapeva che non ero del paese e lesse la mia meraviglia:

- Che c’è? Sei sorpresa?

Enrico sa di tutti… le mie orecchie hanno tante storie da raccontare, di chi va e resta e di chi torna saltuariamente in questa terra che non è più di nessuno.

Anche la lingua è cambiata! Chi resta è randagio tra i randagi. Ci si capisce così, almeno, non crede?

 

Sembrava diverso, si offrì di accompagnarmi lungo la via.

 

- Sei in una botte di ferro con me, Signo’!

 E chi si avvicina con me?

 

Non riuscii a trattenere la risata.

Lui mi guardò e fermò il nostro passo afferrandomi il polso. I suoi occhi erano più presenti.

 

- Bella! … era bella lei, …anche io lo ero ma lei…! E quando rideva le luccicavano i denti, come una fila di perle di fiume e il mio cuore si tramutava.

Mi scriveva lettere d’amore…

Una la tengo qui, nel taschino del gilè, sotto l’impermeabile nero.

Aprì l’impermeabile e me la mostrò.

- I binari delle nostre vite si erano intrecciati. Oooh, saremmo deragliati ben bene io e la mia Lena! Cosa darei per rivederla!

Cosa farebbe il mio cuore nel trovarci vicini?

Potrei scivolarle tra le braccia, mi stringerebbe?

Ogni sua ruga sarebbe mia e la mia carezza cancellerebbe dalla sua fronte il tempo passato!

Il denaro, …quello me l’ha portata via! Lena…

 

Chiuse gli occhi e rimase così.

Ero immobile, non volevo rovinare la poesia di quel momento con interventi maldestri. Un nodo alla gola mi soffocava il respiro. Un artiglio mi teneva strette le viscere.

Non ebbi il coraggio di aprire quella lettera.

Già mi aveva aperto il suo cuore.

Come avrei potuto trafiggerlo profanando ciò che per lui era sacro?

Gliela porsi.

La ripose nel taschino.

 

- Dolce pulzella, sei arrivata a destinazione. Io vado, … ce se becca!

Già stava cambiando eppure, per un attimo, dietro i suoi occhi lucidi, io avevo visto l’uomo, disarmato e sconfitto.

Quel vento secco d’estate aveva asciugato quelle iridi di un profondo verde in fretta, come asciuga addosso l'acqua marina, trasformando il sale in merletti.

Ed era proprio il sale che si era rappreso tra le sue ciglia.

È lì che restano imbrigliati gli amori mai compiuti.

 

- Aaah, gli amori mai compiuti sono sale tra le ciglia, … dei miei mai compiuti amori…mai…mai miei, …pronto! A matto! …è caduta la linea, aspé’!

 

Era tornato l’Enrico di sempre.

Svoltò l’angolo, dopo la discesa.

Il vento si era leggermente rinforzato e smuoveva le fronde, con dolce violenza.

I rami sembravano braccia, lunghe e spaventose.

Poco più in là, la luce fioca di un lampione proiettava l’ombra delle foglie di un ulivo. Si componeva uno strano disegno sull’asfalto, somigliante ad una graticola e che importanza può avere se si riconduca una tale immagine a dei carboni ardenti o a fredde sbarre di cella.

Senza Lena era stato comunque un lento morire in quegli anni.

- Aaah, bastardi! Vigliacchi, anche gli agguati mi tendete…piun, piun …tutti vi accoppo…fuoco! … FUOCO!

 

Poi prese a scendere, lo sguardo intorbidito dalle sue nebbie interiori.

 

In paese si diceva che nascondesse nella fondina una pistola vera. Scarica, ma vera.

 

Il latrato di un cane se lo portò via.

*

No, io l’equilibrio non l’ho ancora imparato

A volte, prima di addormentarmi, tendo la mano verso il buio della stanza. A volte, dall’altra parte, qualcuno risponde.

 …

Cazzo! Dovevo frenarla prima 'sta lingua!

Hai ragione: quando è troppo, è troppo…
Te l’ho sbattuto sulla tela perché toccassi con mano.

Non dire “prometti”… promesso?
Non necessariamente devo mantenere fede a promesse antiche.

 

E tu…? che vuoi dall’altra parte?
Mica intendevo te, taci!
Che dici? Non sento!
Vieni più vicino, vieni di qua, dove si rischia.

Io ci metto la faccia e il cuore e mi gioco la scena, o la va o la spacca. La vita è un panno verde, il croupier distribuisce solo le carte. Sta a te giocartele.
Io lancio, rilancio…
A volte mi slancio.

Si è vero, spesso alzo il tiro, mi piace…giocare al buio. Non necessariamente devo confermare le aspettative altrui.

Posso restare imprevedibile, no?

 

Per dirti…quello che ho scritto all’inizio probabilmente non te l’aspettavi.

A volte, prima di addormentarmi, tendo la mano verso il buio della stanza.

A volte, dall’altra parte, qualcuno risponde.

A volte dovrei tacere: meglio non dire.
A volte vorrei essere come sabbia di clessidra: lasciarmi andare, lasciarmi scivolare, lasciarmi attraversare…ma non posso: almeno a questa promessa antica devo tenere fede ma l’equilibrio no, quello non l’ho ancora imparato. Però oscillo bene: un po’ di qua, un po’ di là.

*

Lo spirito del Natale

Ero uscita.
Avevo cercato conforto in una strada trafficata da macchine e persone, una lunga strada dello shopping, dove il vociare festoso della gente dovrebbe farti quantomeno sorridere, dove le luci e i colori delle vetrine dovrebbero trasmetterti calore, anche se fuori ci sono 2 gradi.

Ero uscita e da subito mi aveva pervaso un senso di non appartenenza a tutto quel clima sfarzoso e gioioso dal quale tutti si fanno investire nei giorni che precedono il Natale. Procedevo in senso contrario rispetto alla folla…strattonata, come se mi stessero dicendo che ero nel senso di marcia sbagliato. Una spallata ad un uomo che avanzava velocemente con una signora truccatissima accanto… “Scusi, colpa mia!”, avevo mormorato sommessa mentre lui, girandosi verso di me, aveva allargato le braccia con disarmo. Dove va tutta questa gente? , mi chiedevo, e dove vado io?
Quasi scrutavo le vetrine, ma non erano i vestiti che cercavo. Dicono che in questo periodo, nelle strade dello shopping, si respiri aria di festa, che la musica agli angoli accenda lo spirito natalizio…lo spirito…natalizio, certo!

Sotto archi tetri, anche se vistosamente illuminati, mi sembrava di sentire solo l’eco dei miei passi vuoti. Dove mi stava portando la strada?
Il vociare delle persone si allontanava.
La musica si allontanava.
Anche la luce sembrava più flebile e tutto si mescolava e diventava indistinguibile.
Mi ritrovai al buio e nel silenzio ma, inaspettatamente, non sentivo più il freddo di prima.
Potrei quasi dire che mi accolse quiete. Il buio mi ingoiò, come un buco nero e dal nero, volando, ne uscì un corvo. Mai avevo visto un corvo così da vicino. Era atterrato sul braccio con il quale avevo protetto il viso per la paura d’essere ferita dal suo artiglio.

- Da dove vieni, corvo? -, gli chiesi, cercando un qualcosa dal quale si fosse involato. Intanto seguivo i miei passi, mi seguivo e, a tratti, sembrava che qualcuno seguisse me.

Qualcosa, qualcuno mi si affiancò, sentivo la sua presenza. Era quasi familiare, come se avesse fatto sempre parte della mia vita. Ero serena, come se, insieme a quella presenza, mi fossi addentrata nell’ignoto da sempre. Il nostro procedere era diventato sincrono. So per certo che stavamo attraversando un bosco e dal nulla, improvvisamente, apparve un palazzo di luce accecante.

Grandi colonne luminosissime sembravano reggere la volta celeste. La vista si perdeva verso l’alto. Pensai che nella mia testa, a volte, accadesse lo straordinario ma sembrava così reale! Entrammo. Una grande sala si apriva al mio sguardo e non sapevo nemmeno come avessi fatto ad arrivare fin lì. La sala era sospesa nella luce ad una altezza indefinibile. C’era una musica di sottofondo e rumore di bicchieri e stoviglie. Non riconoscevo nessuno, troppo lucenti per i miei occhi tutti, troppo umani i miei occhi per distinguere ma qualcuno si chiedeva cosa ci facessi io lì. Sembrava una festa, lo era?
Guardai colui che aveva guidato il mio cammino fino a quel momento. Fu allora che Amore mi avvolse. Mi sentii a casa e compresi ciò che ragione umana non può comprendere.
Del resto non mi è dato raccontare e non perché la memoria non mi funzioni.

Mi svegliai.
Un corvo oltre la finestra ripeteva: “È mattino!” ed in quel mattino una cornamusa mi annunciò lo spirito del Natale nell’aria. Spalancai la finestra nel gelo di fuori. Guardai il mondo con gli occhi di una bambina. Lassù, da qualche parte, gli angeli avevano iniziato a fare a cuscinate.

*

Inganni

C’è la squadra dei bravi e la squadra dei cattivi…

Tu in che squadra giochi?

Devi scegliertela bene,… pena?
La squalifica dal mondo.

C’è la squadra di quelli che hanno avuto successo e quella di chi ha abbandonato,
- prodotto non conforme -, hai presente?

Non hai superato il test di qualità!

C’è la squadra degli arroganti e quella dei sottomessi e poi c’è la squadra dei dottori, quella che ti guarisce, e quella dei pazienti.

Le era stato insegnato così fino a quando non entrò in reparto.
Ci aveva portato il figlio quindicenne.
Quanto sono fragili i ragazzi di oggi!

Un tempo non era così, o nessuno se ne avvedeva.
Lei non ricordava di aver avuto mai paturnie adolescenziali o forse erano rimaste sopite, senza esplodere per via dei problemi familiari che sua madre stava attraversando con la figlia minore, sua sorella. Certo, qualche malessere, una leggera vertigine, l’aveva provata anche lei.
Non che la nave non risentisse delle mareggiate, ma, da sola, l’aveva sempre governata bene.
Ora quel corridoio così lungo le sembrava l’anticamera del Purgatorio e, forse, lo era.

Porta dopo porta, i suoi tacchi si trascinavano dietro l’eco dei passi, da quando i cardini dell’ingresso avevano cigolato.
Cosa fai quando sotto di te è il precipizio con la follia che chiama?
Chiedi aiuto!
Le esplosioni di rabbia sono un campanello d’allarme.
Ma lei è lì che ti aspetta, nel suo camice bianco, inamidato colletto, allevierà il tuo dolore, la tua disperazione.

Ecco, alla fine del corridoio arrivava una debole luce da una stanza semiaperta.
Bussò.

- Avanti! -

- Buona sera! - rispose un po’ impacciata e si sedette di fronte alla dottoressa.
La donna dai capelli rossicci non si era né alzata né le aveva rivolto lo sguardo.

Forse le aveva dato un’occhiata sghemba.
Lei la osservò bene: sicuramente il colore dei capelli attirava l’attenzione ma la sua curiosità fu catturata dal modo di sedere della donna, quel suo star chiusa su se stessa come un riccio, la testa tra gli avambracci e le mani che le ravanavano il cuoio capelluto, come in cerca di qualcosa.

Il tempo di attesa sembrava interminabile.
Nonostante la finestra aperta, la canicola non lasciava respiro.
Finalmente prese parola.
Un lento biascicare di frasi, seguito da movimenti altrettanto lenti.
Presentava tutte le difficoltà del ragazzo ad interpretare il mondo, mostrava una grande professionalità ma, mentre parlava, sembrava che le sue mani non le appartenessero, non a quella stessa professionalità, almeno.
Si accarezzò il viso con la destra, con la sinistra iniziò lascivi movimenti sul seno. Continuò a tenere il capo reclinato mentre la mano sinistra si allungò in direzione dell’agenda e di un pennarello. Il discorso si prolungò per un po’, intanto un grande cuore prendeva vita sul foglio.
Una volta disegnato, continuò la sua opera, colorandolo.
All’improvviso, interruppe il monologo, la guardò fissa negli occhi e, sospirando rassegnata, con un filo di voce che metteva a nudo tutta la sua angoscia, mormorò: - Ho finito il rosa! -

È facile finire ai margini.
Non esistono squadre.
Siamo personaggi inquietanti, violenti e teneri, sconclusionati spesso, eppure saggi, tutti travolti da questo inganno spaventoso ma meraviglioso che si chiama VITA.

 

*

Folle come solo io!

 

Sono la bambina “born blue”.

 

Quella che non ha mai sopportato le porte chiuse.

Quella che raccoglieva da terra qualsiasi cosa e prendeva le lucertole in mano.

Sono la donna, la moglie, l’amante.

Di qualcuno la figlia, sorella, amica.

 

Sono l’adolescente mai guardata, quella sempre indicata e giudicata. E il karma...un paio di ciuffolotti…

Sono quella dai facili orgasmi…

 

Quella che ha paura per ogni aritmia di valvola.

Sono quella che provoca turbolenze a bassa quota…ho detto BASSA!

Sono quella che è morta e poi è tornata.

Il riscatto lo sto pagando a rate.

 

Sono quella che crede ancora nella magia, che non smetterà di mettere la mano in bocca a tutti i cani che incontra perché ha più fiducia negli animali che nei suoi simili.

Sono quella che scrive versi sconclusionati, costruzioni poetiche assurde, ma incantatrici, allegre e a volte malinconiche. Sono quella arguta, romantica e ruvida quando serve e quanto basta. L’hai detto tu: - Ecco, questo è ciò che sento di te ed io ti amerei anche se tu non fossi né umana né donna. Mi basta che sia tu! -

Ed io sono quella che ama la tua improponibile camicia con i cuoricini senza averla mai vista e che ti ama senza averti mai incontrato.

*

Petricore

- Dai! -

 

- Dai cosa? -

 

- Andiamo di là! -

 

- Non mi va! -

 

- Come non ti va! Non ti piace più fare l’amore con me? -

 

No, mi fa schifo!, pensò lei, ma non glielo disse.

Mascherò tutto il suo disprezzo.

Lui era lì a riscuotere come un tributo il suo diritto coniugale.

Lei, abbandonata sul divano, la testa reclinata sul bordo dello schienale ed il braccio stancamente poggiato sulla seduta, con la mano a penzoloni verso il pavimento. Il suo sguardo lo aveva abbandonato già da tempo ma lui non se n’era ancora accorto, o gli conveniva, troppo preso ad assecondare gli istinti suoi per essere empatico nei confronti della moglie.

Era seduto sulle gambe di lei a cavalcioni, le accarezzava il viso e le baciava il collo.

Squallido e lascìvo.

Lei mal sopportava, chiaramente, tutto questo, il suo fetido alito, l’odore insopportabile della sua pelle, ma dissimulare le riusciva abbastanza bene. Solo a tratti la sua mano si chiudeva a pugno e strofinava nervosamente vicino alla gamba, come un gatto che agita e sbatte la coda prima che il suo pelo si gonfi.

 

- Sei ancora mia moglie, ricordi? Devi assolvere ai tuoi doveri coniugali!-

Ecco che allora lei mosse la testa e lo guardò dritto negli occhi:- Da qualche tempo usi espressioni arcaiche e i tuoi modi così autoritari, …credi che io sia una tua proprietà? -

 

- Certo, tu sei mia, è nel contratto di matrimonio! -

Come faceva a stare con una persona così?

Eppure, quando la prese per portarla di là, come diceva lui, non si oppose. Si limitò a lasciare libera la sua anima.

Avrai il mio corpo ancora una volta, non me. Io non sono di nessuno, pensò.

Così non provò niente quando lui la penetrò. I suoi baci e le mani a rovistare i suoi seni non le procuravano più alcun piacere. Dalla finestra aperta si udivano a distanza i primi tuoni. Un forte vento si alzò, caldo, e lei sentì l’odore della pioggia in arrivo: non viene giù dal cielo, si solleva dalla terra arsa dai giorni di giugno, fino alla narice.

Lui scese dal letto e andò in bagno.

Lei restò nuda, sdraiata ad aspettare il temporale come se quella pioggia potesse idealmente lavare via quell’odore insopportabile di saliva e farla ritornare candida come la sua anima che, lentamente, stava ritornando all’antica abitudine.

*

Non baciarmi davanti alla porta

Finti. Finti e falsi quei due!
Davanti a tutti, davanti al mondo.
Nei loro calibrati saluti in pubblico, nel loro incrociarsi senza sostarsi negli occhi.

Eppure, quando lui parlava con chiunque, lei ne fissava le labbra, due righe perfette in lingua baciata. Eppure, lui, quando lei distoglieva lo sguardo, osservava le sue trecce sincronizzate all’ancheggiare dei suoi fianchi, felpata e felina.
E chi l’avrebbe mai detto che nel retro di quelle porte di Aprile si celasse la possibilità di amarsi!

Finti. Finti e falsi quei due eppure così veri nel desiderarsi, nello scivolarsi dentro con la voglia di restarci, nel groviglio delle lenzuola, perdendosi l'uno nell'altro.
Sgualciti, sfiniti, felici.
Così veri nei messaggi sulla chat, quando tornavano ad essere estranei.