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Raccolta di testi in prosa di cristina bizzarri
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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La visione del Cristo cosmico (Bede Griffiths)

La visione del Cristo cosmico (Bede Griffiths)


Il seguente testo è tratto dal volume, che consiglio vivamente ai lettori:
Vincenzo Noja (cur.), Testi mistici per la contemplazione di Dio, Borla, 2006.
Ringrazio il curatore per l'autorizzazione a pubblicarlo.

 

Gianfranco Bertagni

 

                                Bede Griffiths (1906-1993)

           

                            (La visione del Cristo Cosmico)

 

Ogni religione ha contribuito alla crescita del Cristo Cosmico. Esso è formato da tutti coloro che, in linguaggio indù, hanno in qualche misura preso coscienza dell’Io nella profondità del proprio essere”.[1]

 

Per Padre Bede il Corpo di Cristo non può essere mai limitato alla Chiesa visibile e ancor meno ad una tradizione ecclesiastica, ma in esso egli vede il riferimento dell’uomo al vero Io, la “nostra speranza di gloria”, come dichiara san Paolo.

La spiritualità di Padre Bede si basa innanzitutto sull’inabitazione dello Spirito divino nell’uomo. Questa non è solo consapevolezza di Dio in relazione solo all’essere umano ma in tutta la creazione (Aurobindo-Teilhard de Chardin).

Come il suo confratello Henri le Saux, egli vede nella Trinità, la comunità degli esseri con Dio e, strettamente congiunti, il mistero di Dio e il mistero umano.

Bede fu monaco benedettino, nacque nel 1906 in Inghilterra (Walton-on-Thames).

Dal 1955 fino alla sua morte visse in India, dal 1968 in poi guidò per venticinque anni l’Ashram indo-cristiano Saccidanananda nell’India meridionale,  fondato precedentemente dal benedettino francese Henri le Saux. Sotto la guida di Padre Griffiths l’Ashram divenne un centro mondiale per gli incontri ecumenici delle religioni; egli concepì Saccidananda (“l’eremo della Trinità”)

come luogo d’incontro per i fedeli di tutte le tradizioni religiose alla ricerca della verità interiore, dell’essenziale unità in Cristo.    

Per oltre trent’anni Bede Griffiths operò per comunicare la sua concezione del Cristo Cosmico e ricercare l’unità tra le religioni nella profonda condivisione del mistero di Dio nell’uomo e nel creato; in particolare egli operò nella ricerca della comunione spirituale indo-cristiana, pur riconoscendo le profonde diversità, a livello di dottrina e di credenze, esistenti tra le due tradizioni religiose.

Padre Griffiths fu autore di alcune opere mistiche molto significative per l’esperienza contemplativa di Dio, alcune desunte dalle sue conferenze; citiamo in particolare: Il Cristo Universale (The universal Christ) e Ritorno al centro.

 

L’ ESPERIENZA ASSOLUTA DI DIO

         (Il Mistero dell’Amore)

 

Quando noi preghiamo Dio nella profondità dell’anima, Egli è in noi e noi siamo in Lui.

Questa non dualità del nostro spirito con lo Spirito di Dio ci viene rivelata dal Vangelo di Giovanni, quando Gesù prega così per i suoi apostoli: “…che essi siano tutti in uno, come Tu, Padre sei in me ed io in Te (…) io in loro e Tu in me, così essi giungeranno alla perfetta unione”[2].  Questa preghiera è il coronamento di tutte le religioni.

Con essa veniamo chiamati ad entrare nel mistero nascosto della Divinità, prendendo parte con, e attraverso, Gesù alla conoscenza e all’amore di Dio. (…)

Questa è la rivelazione cristiana. L’uomo che entra nel Mistero divino, che partecipa all’amore e alla conoscenza, che diventa egli stesso Divinità.

Divinità è comunione e conoscenza dell’amore. Noi tutti possiamo

parteciparvi, questa è la nostra vocazione. “Non soltanto in questi prego, ma prego anche per quelli che crederanno in me per la loro parola; affinché siano tutti una cosa sola come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. La gloria che tu mi desti io l’ho data loro, affinché siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola, io in essi e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità…(Gv 17, 

20-23)[3].

Per questo la contemplazione è molto importante. I rituali sono belli e importanti; la santa Messa ha un significato centrale. Ma anche qui noi usiamo simboli esteriori: chiese, candele, crocifissi, paramenti, pane e vino. Tutte queste cose sono esteriori e il mistero appare attraverso questi simboli. I quali, però, qualche volta potrebbero distoglierci. Anche in una chiesa ci sono  tante possibilità di venire distratti e distolti dal Divino. Ma quando, con la contemplazione, superiamo l’apparenza esteriore ed entriamo nella sfera del silenzio, possiamo incontrare lo Spirito di Dio, lo Spirito di Gesù, e così prendiamo parte alla perfetta unione del cuore. Un unione con Dio e Gesù che non è duale. Non siamo per molto tempo due, ma siamo una cosa sola, una cosa sola nella diversità. Noi siamo una cosa sola in una sola relazione. Le persone della Trinità stanno in un rapporto duraturo di unicità. Amore è dinamica. Non è una singola opportunità. I due che insieme sono uno, penetrandosi a vicenda, diventano reciprocamente uno, questo è un rapporto non duale, è un mistero indicibile. Qui ci guida il Vangelo.

È l’unione dell’amore, in cui ognuno è nell’altro e non c’è più nessuno.

È il mistero dell’amore: due diventano più di essi stessi quando trovano la completezza nell’amore. Questa è la nostra contemplazione cristiana che dovrebbe guidarci all’assoluta esperienza di Dio. Dio ci chiama a questo modo di contemplare, a quest’esperienza di Dio nel nascosto segreto del cuore.

Gli uomini di tutto il mondo vengono lì condotti, qualcuno come induista, qualche altro come buddista. Spesso essi hanno conosciuto il mistero cristiano in modo inadeguato e perciò vedono il Cristianesimo come una religione superficiale di “conformisti”, che non soddisfa sufficientemente i veri ricercatori di Dio. Noi dovremo far chiaro che esiste un mistero cristiano che corrisponde al profondo bisogno della natura umana e che può essere rivelato come consapevolezza e beatitudine nelle profondità dell’anima. A questo dono noi ci dedichiamo attraverso la contemplazione. Questa è la vera sfida.               

(Göttliche Gegenwart, op. cit., pp. 103-106)

 

 LA PREGHIERA

 

Pregare significa entrare coscientemente nella comunione con Dio o con la Sorgente. Al suo punto più alto, la preghiera diventa contemplazione. Qui essa è senza parole. È un mescolarsi della coscienza umana con il Divino.

Al centro dello stato di preghiera c’è la quiete della mente “Siate calmi, e sappiate che io sono Dio” dice il Salmista (Sal 46,11).

La preghiera fervente apre un canale tra l’anima e Dio. Così c’è intercomunione tra l’umano e il Divino.

La preghiera deriva dalla meditazione, nel senso che la seconda prepara il terreno alla prima. La preghiera può essere concepita come una discesa nelle profondità del cuore.

(Il Cristo universale, op. cit. pp.119-120)

 

LA VISIONE DI DIO

 

Avere parte alla visione di Dio, significa che noi siamo andati al di là di tutti i concetti della mente razionale e di tutte le immagini derivate dai sensi.

Dobbiamo entrare nel mondo della non – dualità, in cui il nostro attuale modo di coscienza viene trasceso.

 Cosí noi entriamo in quella “divina oscurità”di cui parla Dionigi, la quale appare oscura soltanto perché è pura luce.

Dobbiamo salire a questo stato di “non conoscenza” in cui ogni conoscenza umana sbiadisce, e conosceremo veramente “addirittura come siamo conosciuti”.

In questa visione dell’ultimo mistero dell’essere, che è l’inizio e la fine di tutte le nostre aspirazioni umane, indú, buddisti e cristiani si ritrovano uniti, e in Dio tutte le differenze che appaiono in natura, e tutte le distinzioni note alla mente umana, vengono trascese.

(Ib.,  pp.109-110)

 

IL MONDO DELLA RESURREZIONE

 

È un’illusione pensare che il Regno di Dio si realizzerà in questo mondo o che sulla terra si stabiliranno durevolmente pace e gioia.

Questa è la grande “maya” o illusione che inganna il mondo e copre la verità.

L’illusione nasce dal rifiuto di affrontare la morte.

Per coloro che cercano la realizzazione in questo mondo, la morte è una fine, una barriera che non può essere oltrepassata. Ma per coloro che muoiono ben disposti, la morte è il passaggio alla vita eterna.

Il nuovo mondo che noi cerchiamo è il mondo della resurrezione. Anche se questo mondo è già presente tra noi perché “il regno dei cieli è in mezzo a voi”(Lc 17,21). La morte è il varco verso una nuova coscienza, una coscienza che è al di là dei sensi e al di là della mente e si apre sull’eterno e sull’infinito.

Per ora possiamo coglierne solo dei bagliori, ma essa parla attraverso il mondo.

“Le cose di prima sono passate… Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,45).

(Ib., pp. 117-118).

 

ESSERE CALMI      

 

La calma interiore è necessaria se vogliamo avere il perfetto controllo delle nostre facoltà e se vogliamo udire la voce dello Spirito che ci parla.

Non può esserci calma senza disciplina, e la disciplina del silenzio esteriore ci può aiutare a trovare la tranquillità interiore che è il cuore dell’autentica esperienza religiosa. Nella meditazione noi facciamo dei passi per ottenere questa calma. Rendiamo quieto il nostro corpo e le nostre emozioni, quindi gradualmente permettiamo alla mente di fissarsi su un sol punto.

La calma interiore di un individuo può influire oltre misura sulla società.

(Ib., 78)

 

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perdindirindina - divagazioni buffe in prosa sulla poesia

 

perdindirindina

beh  visto che io non so fare quella del  fiù fiù non mi tocca niente allora faccio la disimpegnata e me la cavo con una battutina  di superiorità  ironica così ti condisco e via no proprio no  beh  allora devo qui  esprimermi  e so che in fondo tutto questo è una schermaglia e un gioco e un modo di stare vicini vicini quasi di baciarsi da amici appassionati e sinceri  beh  visto tutto questo  mi verrebbe da dire ma che perdindirindina c'entrano gli intellettuali col fatto di mettersi davanti a una perdindirindina di biblioteca sì perché forse il fatto di leggere dei libri e di mostrarsi davanti ad essi o di scrivere un testo armonioso visto che di questo  e non di altro o perdindirindina  qui si tratta e cioè  di un bellissimo testo intenso armonioso e denso di significati e di autentico e profondissimo  quanto poetico sentire  è forse  meno autentico che stare in braghe su una spiaggia oh perdonami caro pietro sono delle bellissime braghe e tu secondo i miei parametri sei un uomo molto interessante e anche attraente da quello che vedo e io non sono insensibile al fascino maschile proprio no essendo umana e anche donna e l’età non c’entra niente con le sensazioni e nemmeno il fatto di essere sposata che c'entra bando ai luoghi comuni e alle ciance  insomma il fatto è che tu qui sei stato assunto come coefficiente di autenticità e io non ci posso fare niente se sei proprio tu caro pietro che so anche coltissimo e così in un certo senso mi servo di te per una dimostrazione che in realtà non dimostra proprio un bel  piffero di niente perché non c'è niente da dimostrare ma lo devo fare lo stesso perché non posso sottrarmi dato il mio carattere bizzarro e  autentico e dunque vado in un certo senso contro me stessa e la mia paura del ridicolo che ugualmente ne fa parte del mio carattere bizzarro e autentico ma credo che per amicizia questo vada fatto e anche più di questo anche se qualcuno potrebbe forse interpretarlo male ma non è detto perché farsi queste paranoie   e comunque a questo punto ormai non conta più e non so nemmeno più quello che conta ma tanto vale ormai siamo qui in ballo ecco sì  dico il fatto di stare davanti a una perdindirindina di libreria che pur sempre di legno d'albero è fatta e un giorno come noi si trasformerà cambierà o marcirà chissà o  la taglieranno la toglieranno di lì o la segheranno non so e dato che prima ho detto anzi scritto come noi voglio aggiungere  a me spero che non mi segheranno mai ma potrebbe darsi chi lo sa e comunque non ci voglio pensare perché mi fa paura e anche se un memento mori al giorno toglie il medico di torno e forse  mementare ogni tanto  è apotropaico ma chissà forse questa è una parola troppo intellettuale magari adesso mi vado a strofinare contro un albero e ne avrò una risposta perché anch'io lo faccio eccome se lo faccio perdindirindina di parlare con gli alberi strofinarmi no per le formiche ma non solo mi strofino metaforicamente anche con gli i-king e con l'essere supremo o altro nome e molti altri ne ho di modi oh sì  di miei modi ma segreti  e sì a volte sono disperata di cercarlo e a volte no mi sento piuttosto bene anche senza risposte ma dura solo un po' e poi riprendo perché non sono cose semplici queste del tutto e dell’infinito e del nulla altro che condirle via con frasi di circostanza o di nuovo fare gesti apotropaici anche volgari ma già meglio non dirlo apotropaico magari mi taccia di nuovo di intellettuale e chi se la sente dopo di controbattere diventerebbe sfinente vabbè  ma tornando al sodo che ormai non è più sodo ma ormai molliccio  chi non ha alti e bassi chi non pensa o fa o dice cose  e poi ne fa o dice o pensa altre almeno per certe sfumature differenti o per condizioni meteo sopravvenute o per altri motivi fisiopsicospiritufilonaturologici non sempre proprio del tutto coerenti no e poi cosa vuol dire essere coerenti ma per carità adesso non è il caso di divagare basta cercare l’etimo  comunque l’etimo di poesia è all’incirca creare e non si smette mai di creare dacché siamo vivi e un fatto è certo  poesia è tutto quello che non può essere definito ma solo sentito col cuore o con un altro organo mais  ça va de soi sono solo modi di dire si sa  e qui nella poesia di luca ma qui luca è un modo per parlare di questo è un coefficiente potrei dire pi greco senza nulla togliere a luca per carità e alla sua bellissima poesia ecco appunto qui nella poesia del nostro coefficiente autenticità numero due il primo ricordate era un certo pietro qui dunque nonché orbene c'è molto sentire oltre che pensare eh sì pensare è necessario a chiunque non sia cadavere ma di nuovo apotropaicamente  glissons  ma senza volgarità roturière o gesti sconvenienti o mon dieu quante immagini improvvise alla memoria via via il faut vivre e chissà se io sento come lui e se chi sente si sente come me o no ma no certo non credo proprio  allora che bella la libreria di luca coefficiente di autenticità numero due e il suo sguardo in questa foto che mi parla di lui e del suo bellissimo viso e dei suoi libri e di quel momento che lui era lì e lì rimane in quel preciso momento fermo sulla foto e rimane come fermo felicemente fermo e intrappolato in questa sua stupenda poesia che mi parla di lui adesso no non è più un coefficiente no e dei suoi occhi e di quella libreria che è intrisa di lui e di tutto il suo essere autentico nell’essere lui e non un altro e mi racconta di tutto il suo essere lì davanti ai suoi libri che mi parlano di lui e lui mi parla di loro e insieme sono poesia

perdindirindina

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Panim - un incontro

Panim  - un incontro (*)

 

Mi dico che non posso contenere il cielo. La notte è così grande con tutto il suo nero. Nel giorno si prende forma, nonostante mi sembri impossibile che delle alghe possano muoversi, parlare, discutere, arrabbiarsi, amarsi – oh questo in modi così buffi! Ci si può entrare dentro da varie aperture, volendo, con diversi suoni .

 

Comunque. Comunque qualsiasi cosa sia, il fatto è che bisogna andare, da qualche parte si deve andare. Se si sa questo si sa che stare fermi in realtà è come andare. Non è tanto il pensiero che conta qui, quanto piuttosto l’incastro. Infatti tutto è come racchiuso in un contenitore, come quando metti dei sassetti o dei vetrini in una scatola e poi scuoti, per sentire che rumore fa.  Solo che c’è anche una parte liquida - da noi - e se si scuote si fa dei danni all’insieme.  Poi c’è il fatto del tempo. Lo so, tu non lo vedi, ma c’è lo stesso, ce l’abbiamo addosso, sì perché il corpo cambia, e in peggio, nel senso che diventa più debole e più molle, con le pieghe. Per le cose accade più o meno lo stesso, anche se certe durano moltissimo, come i sassi. Ah, una cosa importante è che a un certo punto – ma non si sa quando - si smette.  Cioè uno che prima c’era non c’è più. Come quando si gioca a nascondino: scompare.  Solo che il corpo puzza  e bisogna toglierlo, metterlo via, in delle scatole di legno che vengono infilate nella terra, ma adesso si fa di meno questo, perché di terra non ce n’è più molta a disposizione, allora va bene anche infilarli in degli spazi dentro ai muri. Ma secondo me è meno bello, sembra più scomodo. Comunque non è che uno prima di smettere ha solo respirato o fatto cose a caso come gli pareva. Beh qualcuno sì, ma la maggior parte hanno dovuto fare certe cose - si chiamano qui "lavori" - per poter per esempio avere una casa o dei vestiti o il mangiare, allora uno fa delle cose e gli vengono dati dei soldi. Prima non si chiamavano proprio "soldi" ma era all’incirca lo stesso.  Un’altra cosa buffa sono le guerre: della gente ammazza altra gente, o butta giù case e paesi per  avere più soldi. O più pezzi di terra, ma anche solo per comandare più degli altri, o perché quello in cui crede sia creduto anche da tutti gli altri. Ma è più che altro per sentirsi importanti che lo si fa. Questa cosa, di credere, si vede dalle chiese, che  si chiamano in vari modi a seconda dei posti e delle lingue, comunque servono tutte per andarci e fare dei gesti speciali tutti insieme, o anche dire insieme delle parole speciali - così Dio - adesso ti dico chi è - ascolta più volentieri. Dio è come un uomo o una donna, anche se è diverso,  e ha tantissimi nomi ma non si vede, anche se c’è e sa tutto di tutto. Ma non può fare niente, solo guardare. Dopo che uno ha smesso, ha a che fare con lui o lei.  Ma in realtà c'è chi dice che sia un po’ diverso da noi e questo lo sapremo solo dopo, appunto. Queste sono solo alcune cose da sapere se stai qui da noi. A poco a poco le conoscerai tutte. Stai attento al fuoco perché brucia, e all’acqua perché sembra che ci puoi respirare ma invece se ci vai tutto dentro non puoi.  Inoltre non ti consiglio di stare in città perché è sporca, fa rumore e puzza - non come chi smette ma quasi - ma piuttosto di andare a stare in un bosco che è pieno di alberi e ci sono gli uccelli che fanno bei suoni. Però se in città il pericolo sono certi uomini, nel bosco ci sono bestie feroci, e in ogni caso devi stare molto attento. Prova un po’ qui un po’ là, e solo dopo scegli. 

 

Adesso ti saluto, io abito qui. No, non è tutta mia questa grande casa con il parco,  ognuno ha la sua stanza e in questo parco possiamo venire a passeggiare. Ma certi non possono. Io sono di quelli che hanno il permesso.

 

Ma aspetta ancora un momento! Lo senti? Il suono del vento voglio dire. Ti voglio confidare un segreto prima che tu te ne vada, so che non lo dirai a nessuno, sei diverso, tu, da tutti quelli intorno a me. Mi assomigli talmente che mi sembra di stare davanti a uno specchio, eppure tu sei così distante, non parli. Ascolti solo. Ma come ascolti! Il tuo viso è una luce dove sono accolte tutte  le parole, anche quelle non dette, quelle che non si saprebbero mai dire. E' il viso che si vorrebbe avere di fronte dall'alba al tramonto, e oltre, perché è come l'acqua che prende la forma che le dai, e trema e oscilla a ogni minima vibrazione, a ogni palpitare . Dove abiti tu io non posso venire, lo so, ma quando smetto ti verrò a trovare, perché allora anche tu sarai tornato, e staremo sempre insieme, vero? No, non parlare, lo so che non puoi, cosa credi? Lo capisco il perché. Tu sai già tutto.

 

Anche il segreto del vento. E allora hai sentito cosa ci ha chiesto. Di tacere, perché nessuno, nessuno potrebbe capire.

 

Torna, così parliamo ancora, è bello parlare con te, sento che mi capisci. Ascoltiamo ancora un poco il vento. Ma ora vai.

 

* " “Panim” è un termine ebraico che significa “volto”. Nell’Antico Testamento “Panim” indica in genere il Volto di Dio, un volto da ricercare (“…cercate il mio Volto…” dice il Samo 27) ma anche un volto che irradia pace e benedizione (“il Signore rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace!" Nm 6, 26). Questo nome evoca il desiderio di essere ricercatori dell’Assoluto, della verità divina, che però va sempre coniugato con “il volto dell’altro” - secondo la celebre espressione del filosofo Levinàs - cioè un sapere attento all’uomo che, proprio in virtù di quel Volto paterno, è mio fratello."

 

Ho preso questa definizione da un sito che mi ha colpito, www.issrpesaro.it/. E' un sito religioso. A me interessa soprattutto il concetto di "volto" come ricerca dell'altro da sé, (e dell'Altro, vedi Lévinas ), come via d'uscita da una solitudine dolorosa, patologica nel senso di "pathos" - non in un senso colpevolizzante o definitorio. Nel raccontino ho voluto evidenziare una ricerca sofferta di senso, anche all'interno di un malessere esistenziale. 

 

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Lettera a una foto

Mamma,

le prime parole sono per te. Davanti alla fotografia che questa sera ho illuminato con una piccola candela, al buio, mi hai inviato un messaggio, nonostante il mio scetticismo, la mia disattenzione. Mentre ti parlavo mi ha chiamata al telefono un' altra madre, la madre dell'uomo che mi vive accanto. Ho pensato che tu eri là accanto a lei,  madre che mi chiama, attraverso di lei, in un unico corso d'acqua, in un unico fiume che va verso lo stesso mare.  Finalmente in pace ...

Mettere ordine nei pensieri, in questo caos dove galoppano sensazioni in una cavalcata inesorabile verso il nulla. C'è una comicità, sai, in questo senso di inutilità che mi attraversa, una pace gioiosa che immobilizza i gesti come in un fermo-immagine di una vecchia pellicola. Si aspetta che qualcuno arrivi, che la ripari, per vedere la fine del film, per sapere cosa succederà ai protagonisti. Invece niente, non arriva nessuno. Allora mi sento come se tutto dovesse, da sempre, arrivare fino a questo punto e a questo preciso istante, e che la scena sia sempre la stessa, sempre la stessa, io che ti dico queste cose davanti alla tua foto.

Lo dicono le Upanishad che noi siamo sempre noi qualunque cosa accada. Dicono: io sono Quello, dove "Quello" sarebbe, mamma, il tutto, l'infinito o comunque vogliamo chiamarlo. Allora adesso noi siamo qui e nello stesso tempo nel tutto, e non importa che tu sei morta e io ancora qui, no, non conta: ci siamo sempre state. Mi viene da pensare che non sono le parole a essere importanti, ma gli sguardi, l'intensità degli sguardi! Il nostro sentire qualunque cosa accada come unica, irripetibile eppure eterna. 

Il mio lavoro, i ragazzi, quel gioco di ruoli che ogni giorno insceno: a che serve? Ho davvero cose da insegnare? Forse qualche parola, qualche gesto che potrebbe servire a vivere meglio, a sentirsi più sicuri. Una specie di semaforo che indica quando si può attraversare. Altro non so, altro non ho, mamma. E tu che sorridi con un filo di ironia e di amarezza, tu che in questa foto concentri tutta la tua essenza e tutte le cose che hai amato, detestato, temuto, i fiori raccolti, le speranze fino alla fine tenute segrete, il dolore: che ne è di tutto questo se sei un volto di carta? Sei più vera qui, o lo eri quando mi abbracciavi, mi sgridavi, quando litigavamo e ci dicevamo cose orribili per poi piangere, io lontana e sola, e tu ugualmente sola con la tua rabbia di sentirti abbandonata? Eppure amavi il bianco, il nero, il giallo. Risplendevi come una regina e l'aria era colma di te. Io ti guardavo con timore, avevo sempre paura di dire cose sbagliate, di interrompere il flusso dei tuoi pensieri. Ti sfidavo, a volte, ricordi? E le tue reazioni erano tempestose, non sopportavi chi scherzasse con te. Ma poi, quando eri serena e fumavi una delle tante sigarette che ti hanno sempre fatto compagnia, tornava il bel tempo e noi di nuovo eravamo i tuoi sudditi. Sudditi che tu dovevi spesso servire, perché restavi tu in casa e noi fuori, liberi. Adesso so che la tua rabbia era dolore, che il tuo sarcasmo era paura, che il tuo rifugiarti nel fumo era solitudune. Ti guardo intensamente, ora che sei di carta. So che esisti, mamma. So che niente mai finisce, anche se non ne ho le prove, anche se anch'io sarò solo una foto. Carta per ricordare. Questo momento è per sempre. Anche quando la candela si spegnerà.